Dall’Enciclica Fratelli tutti, di papa Francesco (63.66-67)
Gesù racconta che c’era un uomo ferito, a terra lungo la strada, che era stato
assalito. Passarono diverse persone accanto a lui ma se ne andarono, non si fermarono. Erano persone con funzioni importanti nella società, che non avevano nel cuore l’amore per il bene comune. Non sono state capaci di perdere alcuni minuti per assistere il ferito o almeno per cercare aiuto. Uno si è fermato, gli ha donato vicinanza, lo ha curato con le sue stesse mani, ha pagato di tasca propria e si è occupato di lui. Soprattutto gli ha dato una cosa su cui in questo mondo frettoloso lesiniamo tanto: gli ha dato il proprio tempo.
Sicuramente egli aveva i suoi programmi per usare quella giornata secondo i suoi bisogni, impegni o desideri. Ma è stato capace di mettere tutto da parte davanti a quel ferito, e senza conoscerlo lo ha considerato degno di ricevere il dono del suo tempo.
[…] Guardiamo il modello del buon samaritano. È un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale. È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano. Coi suoi gesti il buon samaritano ha mostrato che «l’esistenza
di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma
tempo di incontro».
Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione
di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà
pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il
buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da
quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada. La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune. Nello stesso tempo, la parabola ci mette in guardia da certi atteggiamenti di persone che guardano solo a sé stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana.
Preghiera di intercessione
Donaci Signore di metterci in viaggio,
sull’asse Gerusalemme-Gerico,
come il buon samaritano, come te.
Dalla Città Santa, Gerusalemme, la città del Tempio,
a Gerico che è l’ecumene, il mondo intero, la storia.
È la strada in cui la fede deve intersecare la storia.
È la strada in cui la speranza incrocia la disperazione della terra.
È la strada in cui la carità si imbatte con i frutti della violenza.
Per noi è un po’ difficile lasciare Gerusalemme,
perché Gerusalemme ci gratifica.
Non è vero che certi riti, anche nel nostro tempo,
privilegiano più il salotto che la strada,
più le pantofole che gli scarponi da viaggio,
più la vestaglia da camera che il bastone del pellegrino?
Dobbiamo metterci in viaggio allora,
ma non per andare incontro a Gerico senza nessuna carica interiore.
Dobbiamo andare incontro a Gerico, al mondo cioè, da risorti.
Amen.