II luogo che vede don Bosco affannarsi e consumarsi per obbedire al desiderio del Papa (Leone) e per il bene dei ragazzi e della popolazione romana è la Basilica del Sacro Cuore, con l’annesso Istituto Salesiano.
Per costruire questa Basilica, consacrata il 15 maggio 1887, don Bosco si logorò, facendo lunghi ed estenuanti viaggi alla ricerca di offerte.
Due episodi meritano qui la nostra attenzione:
la lettera che da qui scrisse ai suoi ragazzi il 10 maggio 1884:
Miei carissimi figliuoli in Gesù Cristo.
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio; quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità. Questo pensiero, s questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi provoca un dolore che voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa; ma le continue occupazioni me lo impedirono. […] Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi con la libertà di un padre. E voi me lo permetterete non è vero? e mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi. Ho affermato che voi siete l’unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera e mentre stavo per andare a riposo, avevo incominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel mentre non so bene se preso dal sonno, o tratto fuori di me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell’Oratorio. Uno di questi due mi si avvicinò, e salutatomi affettuosamente mi disse:
— O Don Bosco mi conosce?
— Sì che ti conosco—risposi.
— E si ricorda ancora di me?—soggiunse.
— Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè, ed eri nell’Oratorio prima del 1870.
— Dica! continuò Valfrè, vuol vedere i giovani che erano nell’Oratorio ai miei tempi?
— Sì, fammeli vedere, io risposi; ciò mi farà molto piacere.
[…] Mi sembrava d’essere nell’antico Oratorio nell’ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giocava ad un gioco, là ad un altro, ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete il quale narrava una storiella. In un altro luogo un giovane salesiano che in mezzo ad altri giovanetti giocava […]. si cantava, si rideva da tutte parti e dovunque salesiani e preti, e intorno ad essi giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra giovani e salesiani regnava la più grande cordialità. Io era incantato a questo spettacolo e Valfrè mi disse:—Vede: la famigliarità porta amore, e l’amore produce confidenza in Confessione e fuori di Confessione. In quell’istante si avvicinò a me l’altro mio antico allievo che aveva la barba tutta bianca e mi disse: D. Bosco vuole adesso conoscere e vedere i giovani che attualmente sono nell’Oratorio? — Sì, risposi io; poiché è già un mese che più non li vedo — E me li additò. Vidi l’Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non più udiva grida e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita come nella prima scena.
Negli atti e nel viso di molti di voi si leggeva una spossatezza, una noia, una musoneria, una diffidenza che faceva pena al mio cuore. Vidi è vero molti che correvano, giocavano, si agitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi io ne vedevo star soli appoggiati ai pilastri in preda a pensieri sconfortanti; altri sulle scale e nei corridoi per sottrarsi alla ricreazione; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro dando attorno occhiate sospettose e maligne: anche fra coloro che giocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che facevano vedere chiaramente come non trovassero gusto nei divertimenti. Rari si scorgevano fra i giovani i salesiani ed i preti. Vari giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dagli educatori e dai salesiani. Questi non erano più l’anima delle ricreazioni. Allora domandai al mio amico dalla barba bianca:—Ti sembrano più buoni i giovani di adesso o quelli di una volta? Mi rispose:—Il numero dei giovani buoni è ora assai grande nell’Oratorio. — Ma perché tanta differenza fra i giovani di una volta e i giovani di adesso? — Causa di tanta diversità si è che un certo numero di giovani non ha confidenza nei salesiani. Anticamente i cuori erano tutti aperti agli educatori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente. Si ricorda quei belli anni quando lei D. Bosco poteva intrattenersi continuamente con noi? Era una festa di paradiso, e noi per lei non avevamo segreti. Ma ora i salesiani sono considerati come Superiori, e non più come padri, fratelli ed amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un’anima sola per amor di Gesù, bisogna che si rompa la fatale barriera della diffidenza, e si sostituisca una confidenza cordiale. Che quindi l’obbedienza guidi l’allievo come la madre guida il suo fanciullino. Allora regnerà nell’Oratorio la pace e l’allegria antica. — Come dunque fare per rompere questa barriera? — A te e ai tuoi io dico; Gesù Cristo si è fatto piccolo coi piccoli e portò le nostre miserie. Esso non spezzò la canna già incrinata, né spense il lucignolo che fumava. Ecco il vostro modello. — E ai giovani? — Che essi riconoscano quanto i salesiani, i maestri, gli assistenti faticano e studino per loro amore, poiché se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifici; che si ricordino essere l’umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri poiché al mondo non si trova la perfezione, ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormorazioni poiché queste raffreddano i cuori; e sopratutto che procurino di vivere nella S. Grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sé, non ha pace cogli altri. — E tu mi dici dunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio? — Questa è la prima causa del malumore, fra le altre che tu sai, alle quali devi porre rimedio, e che non è necessario che ora ti dica. Infatti: non è diffidente se non chi ha segreti da nascondere, se non chi teme che questi segreti vengano scoperti, perché sa che procurerebbero vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace di Dio rimane angosciato, irrequieto, insofferente d’obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada male, e perché esso non ha amore, giudica che gli educatori non lo amino. — Eppure o caro mio, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell’Oratorio! — E’ vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in tanti giovanetti che si confessano è la fedeltà ai propositi. Si confessano ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni, le stesse abitudini, le stesse disobbedienze, le stesse trascuratezze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi. Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace, e se un giovanetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio. — E di costoro ve ne ha molti nell’Oratorio? — Pochi in confronto del gran numero dei giovani che sono nella casa: Osservali! — E me li additava. Io guardai; e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio cuore […] Qui vi dirò soltanto che è tempo di pregare, e di prendere propositi fermi; impegnarsi non con le parole ma coi fatti e far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, e i Besucco, e i Saccardi vivono ancora tra noi. In ultimo domandai a quel mio amico:—Hai null’altro da dirmi? — Predica a tutti grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria S.S. Ausiliatrice. Che Essa stessa li ha qui radunati perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta. Che si ricordino che […] con il suo aiuto deve cadere quella barriera di diffidenza che il demonio ha saputo innalzare tra giovani ed educatori e della quale sa utilizzarsi per la rovina di certe anime. Mentre l’amico parlava io a poco a poco sentiva crescere in me una stanchezza che mi opprimeva. Non potendo finalmente più resistere mi scossi e rinvenni. Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi facevano così male che non potevo star ritto. L’ora era tardissima e quindi me ne andai in letto, risoluto di scrivere a voi o miei cari fi- gliuoli, queste righe. Molte altre cose importantissime che io vidi, desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e la convenienza non me lo permettono. Concludo. Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consumata la sua vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell’antico Oratorio. I giorni dell’amore e della confidenza Cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spirito di accondiscendenza e sopportazione per amor di Gesù degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra d’essere nella nostra casa. Innanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana perché la Vergine S.S. lo prenda subito sotto la sua speciale protezione. Mettiamoci dunque tutti d’accordo. La carità di chi comanda, la carità di chi obbedisce faccia regnare fra di noi lo Spirito di S. Francesco di Sales. O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia Eternità; (A questo punto D. Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi si empirono di lagrime, non di rincrescimento, ma di ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce. Dopo alcuni istanti continuò.) quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o giovani salesiani, o giovani carissimi, per quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera. […]
Vostro affezzionatissimo
Sac. Giò Bosco
MB XVII,107-114
La Santa Messa che celebrò all’altare di Maria Ausiliatrice il 16 maggio 1887 (a consacrazione avvenuta) , poco tempo prima di morire, durante la quale si commosse, rivedendo comprendendo a pieno il sogno dei nove anni.