Dagli scritti di Carlo Carretto
L’Egitto fu il nostro rifugio per parecchi anni. È veramente il luogo dove ci si nasconde bene con tutte quelle canne sul Nilo e con quelle acque che non erano riuscite ad ingoiare il primo Mosè. Non fummo ingoiati nemmeno noi, anche se stranieri, poveri ed indifesi. Dio provvedeva ogni giorno alla nostra debolezza.
Quando fu l’ora partimmo verso il nord. Intanto Gesù era cresciuto, si era irrobustito, Ed Erode era morto. Il viaggio fu lungo ma non difficile. Eravamo così rallegrati dalla presenza di Gesù che guardava sovente verso Gerusalemme, con un interesse particolare.
Giuseppe pensò essere cosa buona non stare troppo vicino a quella città, anche se Erode era morto. Ci stabilimmo a Nazaret in Galilea, dove la libertà era più grande, io, Maria, avevo vissuto da ragazza. Giuseppe mise su bottega e conoscemmo anni felici.
Gesù cresceva in età e in grazia (Luca 2,32). Io lo guardavo come si guarda il Mistero. Non sono mai riuscita a guardarlo come mio semplice figlio. Non ci riuscivo e questo non poteva non farmi soffrire. Poco alla volta ho capito che era la mia missione, che non c’era altra via: ma soffrivo.
Il Mistero di quella nascita mi superava sempre, il pensiero che Gesù
era figlio di Dio mi obbligava ad uscire da me stessa e ad entrare nella fede.
Ciò era sempre doloroso. Era come se non avessi mai potuto afferrare fino in fondo il segreto di mio figlio. L’avevo generato nella carne una volta per tutte ma lo dovevo generare nella fede continuamente, senza soste, fino alla fine.