Dagli scritti di don J. E. Vecchi, 8° successore di don Bosco
È uno dei tanti dunque: nessuno lo pensa come l’uomo chiave, né gli chiederebbe la soluzione del problema. C’è bisogno che qualcuno, che lo conosce già, lo tiri fuor dall’anonimato, lo indichi come colui che può risolvere l’increscioso incidente di una festa che si sta guastando. A questo punto entra in scena la dolcissima figura di Maria, immagine della Chiesa e quindi di tutti noi. E che sia tale lo indica il dettaglio, non solo narrativo, ma simbolico ed allusivo, che Gesù era lì «con i suoi discepoli». Essa avverte per prima la situazione, anche prima di Gesù.
Lei, le situazioni umane le sente quasi d’istinto.
Non le ha dovute assumere: è nata e vissuta dentro la condizione umana proprio come noi. Lei non è un essere divino incarnato; è una creatura umana, nata e vissuta nelle condizioni comuni. Maria non fa critiche, neanche materne, a coloro che hanno fallito il calcolo; non fa commenti da «esperta» dei pranzi e delle feste familiari, e non indica soluzioni tecniche su come e dove nei dintorni si possa trovare una soluzione.
Essa indica e ricorre a Gesù. Alla risposta di Gesù che dimostra di non voler essere dipendente dai legami di parentela, ella gioca un’altra carta: la sua fede. «Fate quello che vi dirà». È un’indicazione per il nostro modo di agire: non da critici della triste condizione umana, non principalmente da «esperti» che dimostrano di avere una lista di soluzioni, ma da persone solidali, disposte a rivedere le nostre esperienze, assumendole e rendendosene partecipe e solidale. Gesù è nelle nostre feste e nelle nostre tristezze.
Ogni gioia o impresa umana, consegnata soltanto al suo dinamismo naturale, al calcolo e alle forze umane, è esposta all’esaurimento e sovente anche alla corruzione. In un certo momento sembra arrivare al capolinea e non riesce a dare più niente di sé: capita con l’amore.