Giovanni 15, 1-8: 1 In quel tempo. Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. 6 Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
(Bibbia Cei. versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Giovanni 15, 1-8
«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch`io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
(Bibbia Cei. versione 1971)
Esegesi
I capitoli 13-17 di Giovanni contengono l’insegnamento privato di Gesù ai discepoli di allora e di sempre. Sono ambientati nell’ultima cena. Iniziano con la lavanda dei piedi (13, 1-17) e terminano con una grande preghiera di Gesù al Padre (17, 1-26). Subito dopo troviamo il racconto della Passione (capitoli 18-19). II tema fondamentale è 1′”agape”. Agape noi lo traduciamo con “carità”, “amore”. Però si tratta dell’amore del Padre verso il Figlio e di Gesù verso il Padre e verso gli uomini e della loro risposta a Gesù. Un amore di qualità diversa da quello solo umano. Il brano odierno si trova nel capitolo 15, dove predomina una forte tensione tra l’amore di Gesù e i suoi frutto (1-17) e l’odio del mondo (18-25). Nei versetti 1-8 Gesù si presenta come la vera vite.
IO SONO (1)
Le parole introdotte con “io sono” contengono una rivelazione autorevole, come quella fatta da Dio a Mosè (Es 1, 14) quando si rivela come Javhè (“Io sono”). In Giovanni 18, 6 quando Gesù si presenta dicendo “Io sono” la folla stramazza a terra.
LA VERA VITE (1)
Nel Vecchio Testamento la vite era un simbolo del popolo. Qui è un segno della realtà di Gesù che fonda un nuovo popolo nell’intima unione con lui e in lui. Gesù è colui che realizza pienamente ciò che la vite naturale esprime. Egli realizza le attese di Dio, mentre la vigna che era Israele le aveva tradite. Gesù si identifica con una pianta la cui linfa alimenta i sarmenti e da frutto. Questa linfa indica la sua vita, e la vita risiede solo in Dio (1,4).
IL PADRE MIO E’ IL VIGNAIOLO (1)
II Padre celeste si prende cura della vite e dei tralci. L’opera del Padre è paragonata a quella di un contadino, preoccupato che i tralci buoni portino il massimo frutto, che li ripulisce togliendo i germogli superflui, che non fanno che svigorire la vite. Il Padre sottopone i discepoli di Gesù a una dura disciplina, attraverso le prove della vita, affinché portino frutti più abbondanti. Non basta che portino qualche frutto, devono portarne nella maggiore misura possibile.
LO POTA (2)
L’opera di purificazione ha l’asprezza della potatura, ma le iniziative del Padre, anche se appaiono dolorose, hanno come fine una crescita e una promozione, non una mortificazione.
VOI SIETE GIÀ MONDI (3)
I veri discepoli sono mondi perché mondati dalla parola, accolta nella fede, dall’azione di Dio.
PER LA PAROLA (3)
La parola di Dio ricevuta e accolta provoca la fede, urta i modi di pensare, impegna a cambiare vita. Agisce come una “spada a doppio taglio” (Eb 4, 12), ripulisce l’anima, e separa chi la rifiuta. Si può vedere come esempio il diverso atteggiamento di Pietro e di Giuda, messi, durante la lavanda dei piedi, di fronte alla stessa parola.
RIMANETE IN ME (4)
Portare frutto è possibile solo a chi vive in comunione con Gesù. Perciò Gesù invita a mantenere tale comunione. Gesù “rimane” nel fedele, lo previene e rende possibile il “rimanere” del discepolo in lui. I discepoli devono rimanere in lui, perseverando nella fede.
COME IL TRALCIO (4)
Quanto avviene nella vite può spiegare il “rimanere” dei discepoli in Gesù. Il tralcio da sé non porta frutto, ma riceve vita e fecondità dalla vite. Se ne è staccato muore e perisce. Allo stesso modo i discepoli portano frutto se si mantengono in contatto vitale con Gesù. Altrimenti cadono nella morte.
SENZA DI ME NON POTETE FAR NULLA (5)
L’uomo abbandonato a se stesso non può vivere la vita divina e produrre le opere buone che Dio si attende da lui. Questa asserzione radicale: “Senza di me non potete far nulla” ha avuto un’importanza di primo piano nelle controversie sulla grazia dai tempi di S. Agostino fino al Concilio di Trento.
CHI NON RIMANE (6)
Chi si stacca da Gesù non solo non dà frutto ma è condannato alla perdizione. Anche in Matteo 13, 30 è detto che la zizzania viene bruciata e in Matteo 22, 13 che l’invitato senza l’abito di nozze viene gettato fuori.
CHIEDETE (7)
Coloro che rimangono in comunione vitale con Gesù e regolano la propria condotta secondo le sue parole, ricevono la promessa che tutte le loro preghiere saranno esaudite. Difatti costoro non possono chiedere altro che ” ciò che è conforme alla sua volontà” (1 Gv 5, 14).
IN QUESTO (8)
II Padre è glorificato dai frutti di amore dei discepoli.
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
LA VITE E I TRALCI
“Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui produce molto frutto: perché senza di me voi non potete far nulla” (Gv 15,5). Nessuno pensi che il tralcio possa da solo produrre almeno qualche frutto. Il Signore ha detto che chi è in lui produce «molto frutto». E non ha detto: Senza di me potete fare poco ma: «Senza di me Voi non potete fare nulla». Sia il poco sia il molto, non si può farlo comunque senza di lui, poiché senza di lui non si può fare nulla. Perché anche se, quando il tralcio produce pochi frutti, l`agricoltore lo monda, affinché ne produca di piú: tuttavia, se non resterà unito alla vite e non trarrà alimento dalla radice, non potrà da se stesso portare nessun frutto. Anche se Cristo non sarebbe la vite se non fosse uomo, non potrebbe tuttavia fornire ai tralci la capacità di produrre frutti, se non fosse anche Dio. Di modo che, come senza questa grazia è impossibile la vita, cosí la morte è in potere del libero arbitrio. “Chi poi non rimarrà in me sarà gettato via come il tralcio; e si dissecca; e poi sarà raccolto e gettato nel fuoco dove brucerà” (Gv 15,6). Il tralcio è infatti tanto prezioso se resta unito alla vite, quanto, se ne è reciso, è privo di valore. Come il Signore fa rilevare per bocca del profeta Ezechiele (cf. Ez 15,5), i rami di vite recisi non possono né essere utili all`agricoltura, né usati dal falegname in alcuna opera. Il tralcio di vite ha due sole alternative: o restare unito alla vite o essere gettato nel fuoco: se non è unito alla vite sarà buttato nel fuoco. Quindi, per non finire nelle fiamme, deve restare unito alla vite. “Se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi domandate quanto volete e vi sarà fatto” (Gv 15,7). (Agostino, Comment. in Ioan. 81, 3-4)
RICHIESTE CHE GIOVANO ALLA SALVEZZA
Rimanendo in Cristo, che cosa possono chiedere i fedeli se non quanto a Cristo conviene? Che possono volere, se restano uniti al Salvatore, se non ciò che non si oppone alla loro salvezza? Una cosa infatti desideriamo, quando siamo in Cristo, e una cosa ben diversa quando siamo ancora uniti a questo mondo. Ma qualche volta può accadere che il fatto di dimorare in questo mondo ci spinga a chiedere qualcosa che, senza che noi ce ne rendiamo conto, non è utile alla nostra salvezza. Ma questo certamente non ci avviene se siamo in Cristo, poiché egli esaudisce le nostre richieste solo quando giovano alla nostra salute eterna. Rimanendo dunque noi in lui e in noi restando le sue parole, potremo chiedergli qualunque cosa, ed egli la compirà in noi. Se gli chiediamo qualcosa ed egli non ci esaudisce, significa che quanto abbiamo chiesto non favorisce il rimanere in lui e non è conforme alla sua parola che in noi dimora, ma riguarda invece desideri e debolezze della carne, che non sono certo in lui, e nelle quali non è certo la sua parola. (Agostino, Comment. in Ioan. 81, 3-4)
FEDE E VITA
Quanto alla preghiera che egli stesso ci ha insegnata e con la quale diciamo: “Padre nostro che sei nei cieli” (Mt 6,9), essa fa parte sicuramente delle sue parole. Non allontaniamoci, dunque, nelle nostre richieste al Signore, dalla lettera e dallo spirito di questa preghiera: se cosí facciamo, ogni cosa che chiederemo egli ce la concederà. Le sue parole rimangono in noi, quando facciamo quanto ci ha ordinato e desideriamo quanto Ci ha promesso; ma quando invece le sue parole restano, sí, nella nostra memoria, ma non se ne trova traccia nella nostra vita e nei nostri costumi, allora il tralcio non fa piú parte della vite, perché non assorbe piú la vita dalla sua radice. Questa distinzione tra il conoscere la legge e metterla in pratica è efficacemente posta in rilievo dal profeta che dice: “Si ricordano dei suoi comandamenti per metterli in pratica” (Sal 102,18). Non sono pochi, infatti, coloro che si ricordano dei suoi comandamenti solo per disprezzarli, per deriderli e fare il contrario di ciò che essi ordinano. In costoro non hanno dimora le parole di Cristo; essi sono in qualche modo in contatto con esse, ma non sono affatto ad esse uniti. E tali parole non solo non produrranno in costoro alcun beneficio, ma renderanno invece testimonianza contro di essi. E poiché quelle parole sono in loro, ma essi non le conservano, sono esse che posseggono loro, per condannarli. (Agostino, Comment. in Ioan. 81, 3-4)
VITE SIMBOLO DI FECONDITA’ SPIRITUALE
Saprai certamente che, come hai in comune con i fiori una sorte caduca, cosí hai in comune la letizia con le viti da cui si ricava il vino che rallegra il cuore dell`uomo (cf. Sal 103,15). E magari tu imitassi, o uomo, un simile esempio, in modo da procurarti letizia e giocondità. In te si trova la dolcezza della tua amabilità, da te sgorga, in te rimane, è insita in te; in te stesso devi cercare la gioia della tua coscienza. Perciò la Scrittura dice: “Bevi l`acqua dai tuoi vasi e dalla fonte dei tuoi pozzi” (Pr 5,15). Anzitutto nulla è piú gradito del profumo della vite in fiore, se è vero che il succo spremuto dal fiore della vite produce una bevanda che nello stesso tempo riesce gradevole e giova alla salute. Inoltre, chi non proverebbe meraviglia al vedere che dal vinacciolo di un acino la vite prorompe fino alla sommità dell`albero che protegge come con un amplesso e avvince tra le sue braccia e circonda in una stretta rigorosa, riveste di pampini e cinge di una corona di grappoli? Essa, ad imitazione della nostra vita, prima affonda la sua radice viva nel terreno; poi, siccome per natura è flessibile e non sta ritta, stringe tutto ciò che riesce ad afferrare con i suoi viticci quasi fossero braccia e, reggendosi per mezzo di questi, sale in alto. Del tutto simile è il popolo fedele che viene piantato, per cosí dire, mediante la radice della fede e frenato dalla propaggine dell`umiltà.
Di essa dice bene il profeta: “Hai trasportato la vite dall`Egitto e ne hai piantato le radici e la terra ne è stata riempita. La sua ombra ha ricoperto i monti e i suoi viticci i cedri del Signore. Stese i suoi rami fino al mare e fino al fiume le sue propaggini” (Sal 79,9-12). E il Signore stesso parlò per bocca d`Isaia dicendo: “Il mio diletto acquistò una vigna su un colle, in un luogo fertile, e la circondò d`un muro e vangò tutt`attorno la vigna di Sorec e nel mezzo vi innalzò una torre” (Is 5,1-2). La circondò infatti come con la palizzata dei comandamenti celesti e con la scorta degli angeli. Infatti “l`angelo del Signore si accamperà attorno a quanti lo temono” (Sal 33,8). Pose nella Chiesa come la torre degli apostoli, dei profeti, dei dottori, che sogliono vigilare per la pace della Chiesa. La vangò tutt`intorno, quando la liberò dal peso delle cure terrene; nulla infatti grava la mente piú delle preoccupazioni di questo mondo e dell`avidità di denaro o di potere. Ciò ti viene mostrato nel Vangelo quando leggi che quella donna, che uno spirito teneva inferma, era cosí curva da non poter guardare in alto. Era curva la sua anima che, rivolta ai guadagni, non vedeva la grazia celeste. Gesú la guardò, la chiamò, e subito la donna depose i pesi terreni. Egli mostra che da simili brame erano gravati coloro ai quali dice: “Venite a me tutti voi che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28). L`anima di quella donna, come se le avessero scavato intorno la terra, poté respirare e si raddrizzò. Ma anche la vite, quando intorno le è stato zappato il terreno, viene legata e tenuta diritta affinché non si pieghi verso terra. Alcuni tralci si tagliano, altri si fanno ramificare: si tagliano quelli che ostentano un`inutile esuberanza, si fanno ramificare quelli che l`esperto agricoltore giudica produttivi. Perché dovrei descrivere l`ordinata disposizione dei pali di sostegno e la bellezza dei pergolati, che insegnano con verità e chiarezza come nella Chiesa debba essere conservata l`uguaglianza, sicché nessuno, se ricco e ragguardevole, si senta superiore e nessuno, se povero e di oscuri natali, si abbatta o si disperi? Nella Chiesa ci sia per tutti un`unica e uguale libertà, con tutti si usi pari giustizia e identica cortesia. Perciò nel mezzo si innalza una torre, per mostrare tutt`intorno l`esempio di quei contadini, di quei pescatori che meritano di occupare la rocca della virtù. Sul loro esempio i nostri sentimenti si elevino, non giacciano a terra spregevoli ed abietti; ma ciascuno innalzi l`animo a ciò che sta sopra di noi e abbia il coraggio di dire: “Ma la nostra cittadinanza è nei cieli” (Fil 3,20). Quindi, per non essere piegato dalle burrasche del secolo e travolto dalla tempesta, ognuno, come fa la vite con i suoi viticci e le sue volute, si stringe a tutti quelli che gli sono vicini quasi in un abbraccio di carità e unito ad essi si sente tranquillo. E` la carità che ci unisce a ciò che sta sopra di noi e ci introduce in cielo. “Se uno rimane nella carità, Dio rimane in lui” (1Gv 4,16). Perciò anche il Signore dice: “Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non può produrre frutto da solo, se non resta unito alla vite, cosí anche voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,4-5). Manifestamente il Signore ha indicato che l`esempio della vite deve essere richiamato quale regola per la nostra vita. Sappiamo che quella, riscaldata dal tepore primaverile, dapprima comincia a gemmare, poi manda fuori il frutto dagli stessi nodi dei tralci dai quali, nascendo l`uva prende forma e, a poco a poco sviluppandosi, conserva l`asprezza del prodotto immaturo e non può diventare dolce se non raggiunge la maturazione sotto l`azione del sole. Quale spettacolo è piú gradevole, quale frutto piú dolce che vedere i festoni pendenti come monili di cui si adorna la campagna in tutto il suo splendore, cogliere i grappoli rilucenti d`un colore dorato o simili alla porpora? Crederesti di veder scintillare le ametiste e le altre gemme, balenare le pietre indiane, risplendere l`attraente eleganza delle perle, e non ti accorgi che tutto ciò ti ammonisce a stare in guardia perché il giorno supremo non trovi immaturi i tuoi frutti, il tempo dell`età nella sua pienezza non produca opere di scarso valore. Il frutto acerbo suole essere senz`altro amaro e non può essere dolce se non ciò che è cresciuto sino alla perfetta maturità. A quest`uomo perfetto solitamente non nuoce né il freddo della morte con il suo brivido né il sole dell`iniquità, perché lo protegge con la sua ombra la grazia divina e spegne ogni incendio di cupidigie mondane e di lussuria carnale e ne tiene lontani gli ardori. Ti lodino tutti coloro che ti vedono e ammirino le schiere dei cristiani come ghirlande di tralci, contempli ciascuno i magnifici ornamenti delle anime fedeli, tragga diletto dalla maturità della loro prudenza, dallo splendore della loro fede, dalla dignità della loro testimonianza, dalla bellezza della loro santa vita, dall`abbondanza della loro misericordia, cosí che ti possano dire: “La tua sposa è come vite ricca di grappoli nell`interno della tua casa” (Sal 127,3), perché con l`esercizio di una generosa liberalità riproduci l`opulenza d`una vite carica di grappoli. (Ambrogio, Exameron III, V, 12, 49-52)
RINNOVAMENTO
Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza che rimanga da rimettere la piú piccola colpa. Ma come una cosa è non avere piú la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un`altra cura la ferita procurata dal dardo; cosí la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge: “Egli perdona tutte le tue iniquità”, ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: “Egli guarisce tutte le tue malattie” (Sal 102,3), ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l`Apostolo quando dice: “Quantunque il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16). Ora “si rinnova nella conoscenza di Dio” (Col 3,10), cioè “nella vera giustizia e santità” (Ef 4,24), secondo i termini usati dall`Apostolo nelle testimonianze che ho riportato un po` piú sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l`aiuto di Dio. E Dio che l`ha detto: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Chiunque l`ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (cf. Gen 5,1; Gc 3,9), quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l`apostolo Paolo dice: “Ora vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a faccia” (1Cor 13,12). Egli dice pure: “Noi che, a viso scoperto, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in conformità all`operazione del Signore che è spirito” (2Cor 3,18). E’ questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in giorno nel bene. (Agostino, De Trinit., 14, 17, 23)
STABILITA’ FECONDITA’
Un aspetto del rapporto vite-tralci è l’immagine «naturale» della stabilità. Se continuamente trapiantato da un terreno all’altro, c’è il rischio che l’albero muoia. L’immagine dell’albero come stabilità radicata è l’immagine stessa della fede come radicamento. Credere è un radicarsi sempre più in Dio. Già dalla prima pagina della Bibbia risulta che il credere è la via obbligata per accedere all’albero della vita nel paradiso terrestre: «Se non credete – dice Isaia (7,9) – voi non avrete stabilità». Conoscerete l’albero non della vita, ma della morte. Un altro aspetto del rapporto «vite-tralci» come figura del rapporto fra Gesù con i suoi discepoli è la fecondità: “Chi rimane in me e io i lui, porta molto frutto”. L’albero come immagine della vita del discepolo non e solo figura della sua fede, ma anche della sua speranza che è un po’ come la fecondità della fede. Non si spera veramente a partire dalla vita presente ma a partire dalla vita futura.
FEDE, PREGHIERA
Alla considerazione dell’immagine-parabola-allegoria della «vite» e dei «tralci» come figura della fede può essere accostata come tema di riflessione anche l’esperienza della preghiera. Al pari della fede anche la preghiera chiede di radicarsi e di crescere non solo come un fiore spontaneo di stagione, ma come il germe di un grande albero, nel tempo lungo della vita. «Non ho tempo per pregare», si dice. E così la preghiera non è rifiutata; è solo rimandata a tempi ideali, tanto ideali da diventare irreali. E così la preghiera finisce per essere semplicemente elusa. Anche il pregare è radicarsi sempre più in Dio, è «rimanere in me e io in voi», come il tralcio alla vite «Vigilate e pregate per non cadere in tentazione” (Mc 14,38). Alle volte l’insistenza di Gesù è sulla perseveranza, prima che sulle cose da dire. Pregare può diventare nei momenti di prova anche un lottare con Dio, come Giacobbe per un’intera notte, come Mosè con le braccia elevate sul monte di Dio, mentre nella pianura ferve la lotta. Non è da escludere che pregare sia anche una lotta contro se stessi. Al giovane Miguel Manara -nella pièce omonima del teatro di Miloz – che domandava all’anziano monaco di entrare in monastero l’abate chiedeva: «Che cosa cerchi?». «La pace». «Contro quale nemico?». «Contro me stesso». Pregare è anche domandare. Domandare non solo le cose spirituali, ma anche le materiali. La preghiera è materiata di circostanze, situazioni, bisogni. Ma perché domandare a Dio che sa già ciò di cui abbiamo bisogno? C’è da chiedersi se anche il domandare a Dio non educhi al senso di appartenenza, di fiducia e di ascolto: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato». (Riflessioni di Adriano Caprioni)
UOMO SENZA DIO
Col farsi strada di un nuovo umanesimo che non ha bisogno di Dio per espandersi, l’uomo è posto al centro di tutto. Al «senso di Dio», si contrappone il «senso dell’uomo» (Evangelizzazione e sacramento della penitenza, n. 129).
Il peccato diventa più offesa all’uomo che a Dio, più alla società che al singolo. A livello di provocazione; occorrerebbe una “apologia” del peccato, per denunciare il comportamento di chi, e sono molti, nasconde la testa nella sabbia, come il più terrorizzato degli struzzi.
(S. Maggiolini, Apologia del peccato) (Rifl. di Vittorio Bernardetto).
RIPIENI DI DIO
« Io sono il “capo” e voi siete le “membra”. Ciò che io penso e sento, voi dovete rappresentare e compiere. Attraverso di voi, mie mani e miei piedi, voglio percorrere il mondo, voglio trasformarlo. Io vi concederò secondo la ricchezza della mia gloria di essere potentemente rafforzati, dal mio Spirito, in rapporto all’uomo interiore, cosicché io attraverso la fede abiti nei vostri cuori e voi, radicati ed immersi nell’amore, possiate misurare, insieme con tutti i santi, la mia larghezza e lunghezza, la mia altezza e profondità, resi capaci di scorgere il mio amore, che trascende ogni concetto, in modo che, alla fine, la pienezza di Dio vi ricolmi totalmente, con esuberanza» (H.U. Von Balthasar).
RESTARE UNITI ALLA VITE
«Sono il pastore», ha proclamato Gesù domenica scorsa; «Sono la vite», spiega, continuando a comporre il mosaico della sua missione, in questa domenica. E aggiunge altri tratti qualificanti: la «vigna» l’ha «piantata» il Padre, che è «agricoltore». È una «vite» ricca di linfa, di vitalità, di frutti e di «tralci». I tralci, questi rami carichi di speranza, siamo noi: o restiamo attaccati alla vite e ci lasciamo potare dall’esperienza dell’agricoltore o saremo recisi perché inutili, buoni ad alimentare fuochi fatui tra altri sterpi. «Senza di me non potete fare nulla». È un’affermazione che va ribadita più che mai, nel clima di autosufficienza e di autogiustifìcazione in cui siamo immersi. Ed è proprio quando questa visione secolarizzata dell’uomo e della storia sfocia nel «secolarismo», che, negati i valori della trascendenza e della rivelazione, si perdono il «senso di Dio» e dei rapporti con lui, e il «senso del peccato» come dimensione verticale di offesa a Dio.
Gesù si presenta come l’unico mediatore della salvezza. Egli è la «vera vite», il nuovo Israele; e il vino che il Padre, celeste agricoltore, ha pigiato è quello prodotto dai tralci che rimangono in Gesù. «Nessuno produce di questo vino se non chi rimane nel Verbo: nella sapienza, nella verità, nella giustizia e in tutte le virtù (Origene), Il verbo greco ménein, « rimanere », è martellato con insistenza e rivela subito il suo valore, che potremmo definire mistico. Infatti, come il tralcio che rimane attaccato al ceppo della vite riceve linfa e diventa verdeggiante e fruttifero, così il fedele che rimane in comunione di fede e di amore col Cristo produce frutto e partecipa della vita divina. È, dunque, la celebrazione dell’intimità, della comunione profonda tra il Cristo e il fedele. Essa avviene attraverso un duplice movimento. Da un lato è Cristo stesso che, incarnandosi, scende in mezzo a noi, entra nella nostra esistenza, depone nel terreno della storia un seme di eternità, rivela la sua parola di salvezza. D’altro lato, però, anche il credente deve rivolgersi a lui, affidarsi al suo amore, ascoltare la parola proclamata, seguirne le indicazioni di vita. Il rimanere è, dunque, frutto dell’abbraccio di due libertà, di due volontà, di due amori, quelli di Dio e dell’uomo. Col battesimo noi rimaniamo già in lui perché egli è entrato per primo in noi. Ma dobbiamo per tutta la vita rimanere con lui attraverso l’impegno di fede e di amore. Oggi, però, balena ai nostri occhi anche la separazione: « Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano ». Aut vitis aut ignis, commentava lapidario sant’ Agostino: « O la vite o il fuoco ». (Gianfranco Ravasi)
LA POTATURA
Tutto proviene dalla iniziativa gratuita del Padre che «pota», cioè elimina i fattori di morte perché il tralcio, che rappresenta simbolicamente il discepolo, possa portare frutti. Dio Padre sfronda la sua vigna, ma lo scopo della sua azione dolorosa non è negativo, anzi è la vitalità stessa del tralcio. Il Padre è l’agricoltore: la sua prima attività è di innestare nella vite; la seconda mira alla fecondità del tralcio. La potatura o purificazione avviene attraverso la parola di Gesù: «Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato». (Antonio Bonora)
I FRUTTI
Che cosa sono i «frutti» che il «tralcio», ossia il discepolo, deve produrre? Il «frutto» simboleggia la vita comunitaria fraterna, la formazione di una società alternativa e nuova che comincia con Gesù e da lui è resa possibile. Non è infatti realizzabile una vita comunitaria nuova se non in comunione con Gesù. La «sterilità» del tralcio simboleggia una vita egoistica e individualistica, quale è quella del tralcio staccato dalla vite. La sua fine è la morte. (Antonio Bonora)
PREGHIERA (pregare la parola)
•O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di santità e di pace. (Colletta 5 Pasqua: B)
•Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe. Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: “ Viva il loro cuore per sempre’’. (dal Salmo 21)
•Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno a lui tutte le famiglie dei popoli. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti dormono nella polvere. Ed io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: “ Ecco l’opera del Signore” (Dal Salmo 21,28-32) • Padre, che più sei severo più ami, perché si avveri quanto tuo Figlio dice nel Vangelo, e tutti i tralci della vigna incurvino per abbondanza di grappoli, fa che rimaniamo sempre in lui come lui rimane in te. (David Maria Turoldo)
•Ti benediciamo, Dio nostro Padre, perché la nostra terra ha dato il suo frutto e il migliore dei raccolti: giacché Cristo non solo è la vite di cui siamo parte, ma il suo sangue è anche il vino nuovo del regno. (Basilio Caballero)
•Siamo la tua vigna, Signore il popolo che tu ami e grazie a Gesù possiamo avere in noi la vita e produrre frutto se restiamo uniti a lui. Dio misericordioso, vieni a visitare la tua vigna, il ceppo che la tua destra ha piantato e reso vigoroso. Purificaci con la potatura del tuo spirito; splenda la luce del tuo volto e ci salvi. (Basilio Caballero)
•Signore Gesù, noi tuoi discepoli desideriamo rimanere in te, perché non siamo nulla; divelti dal tuo amore bruciamo nel dolore, come i tralci stroncati, inariditi, disseccati (Liturgia di Valsarana)
•La tua parola ci purifichi e la fede nella tua passione e nella tua risurrezione mondi in noi tutto ciò che è superfluo e vano. Non permettere che siamo scandalizzati dalla tua croce, tu che conosci il nostro amore fragile e incostante; non lasciarci morire per il gelo dell’indifferenza o sotto la tempesta del dubbio, delle passioni e delle discordie.
•Signore, tienici uniti a te finché possiamo ricevere la vita dalla tua vita e portare molto frutto e così dare gloria al Padre tuo.
•Tu sei la vita: fa che rimaniamo in te, perché la nostra mente e il nostro cuore si nutrano della tua parola di verità e non siamo trascinati da ogni vento di dottrina.
•Tu sei la verità: fa che ti seguiamo con fedeltà perché tu sei il nostro unico maestro. La sete della gloria umana non sfiori il nostro cuore, Tu solo ci i fai crescere perché sei Dio.
•Tu sei la via: vogliamo essere salvati dalla tua misericordia e vogliamo salvare. Vogliamo essere liberati per liberare. Generati alla fede per generare. Lavati dal tuo sangue per portare il dolce lavacro del perdono ai nostri fratelli. Uniti a te per essere lievito di unione nell’umanità. (Preghiere di Suore Trappiste)
•Rapiti dal fulgore della tua celeste bellezza e sospinti dalle angosce del secolo ci gettiamo tra le tue braccia o immacolata Madre di Gesù e Madre nostra fiduciosi di trovare nel tuo cuore amatissimo l’appagamento delle nostre fervide invocazioni e il porto sicuro fra le tempeste che da ogni parte ci stringono…. O fonte limpida di fede, irrora con le eterne verità le nostre menti. O giglio fragrante di ogni santità, avvinci i nostri cuori col tuo celestiale profumo. O trionfatrice del male e della morte ispiraci profondo orrore per il peccato che rende l’anima detestabile a Dio e schiava dell’inferno. (Da una preghiera di Pio XII)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Ricordiamo spesso, nel clima attuale di autosufficienza, quanto dice il Signore: “ Senza di me non potete far nulla”.