Luca 7, 11-17: 11 In quel tempo. Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12 Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 15 Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16 Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17 Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
(Bibbia Cei: Versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Luca 7, 11-17
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.
(Bibbia Cei: Versione 1971)
Esegesi
L’episodio è stato tramandato solo da Luca. Ha affinità con due risurrezione di figli unici di madri vedove operate da Elia e da Eliseo (1 Re 17, 17-24; 2 Re 4, 18-37). Luca intende porre Gesù sulla linea degli antichi profeti, come proclameranno entusiaste le folle e mette in rilievo la sua compassione. Prepara anche l’accenno ai morti che risorgono della risposta agli inviati del Battista (11, 22). Il ritorno alla vita del giovane preannunzia la risurrezione di Cristo.
NAIN (11)
Villaggio tuttora esistente presso il monte Tabor, a pochi chilometri da Nazaret vicino a Sunem, dove Eliseo compì il suo miracolo.
ALLA PORTA DELLA CITTA (12)
S’incontrano due cortei, uno porta un morto, l’altro è guidato da colui che dona la vita. Il giovane che viene portato alla sepoltura è figlio unico di una madre vedova.
IL SIGNORE NE EBBE COMPASSIONE (13)
E’ la prima volta che in Luca Gesù viene chiamato “ Signore”, (kyrios), nome prima riservato a Javhè. Gesù viene presentato come vero uomo che si commuove, come Dio che può ridare la vita, come colui che annunzia e porta la misericordia di Dio a coloro che gemono e piangono.
TOCCO’ LA BARA (14)
La salma giace nei lini della bara. Al tocco i portatori si fermano e Gesù dà un ordine: “ alzati”, (egerteti), Luca usa uno dei due verbi che si usano per la risurrezione. (vedi 9, 22; 24, 34). “Il morto si levò a sedere” e Gesù “lo diede alla madre”, come aveva fatto Elia.
UN GRANDE PROFETA (16)
I componenti i due cortei “ furono presi da timore e glorificavano Dio. Qui sta il messaggio principale dell’episodio. Il popolo riconosce Gesù profeta come Elia, anzi ne coglie la dignità messianica e confessa che con Lui Dio stabilisce una presenza salvifica in mezzo al popolo.
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
RISURREZIONE DI UN FANCIULLO
“Come fu presso la porta della città, ecco che trasportavano un morto, unico figlio di sua madre, e questa era vedova, e molta gente era con lei. Il Signore, vedendola, ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere». E avvicinatosi, toccò la bara” (Lc 7,12-13). Anche questo passo è ricco di un doppio insegnamento: ci fa comprendere come la divina misericordia venga toccata dal dolore di una madre vedova, addolorata per la perdita del suo figlio unico, di una vedova cui però la folla in lutto restituisce un certo modo i benefici della maternità; d`altra parte, questa vedova, circondata da una folla di popolo, ci sembra assai piú di una donna: essa con le sue lacrime ha meritato d`ottenere la risurrezione dell`adolescente, suo figlio unico, cosí come la santa Chiesa richiama alla vita, dal corteo funebre e dalle profondità del sepolcro, il popolo piú giovane, grazie alle sue lacrime, mentre viene proibito di piangere colui cui è riservata la risurrezione. Orbene, questo morto era portato alla tomba, nella bara, dai quattro elementi della materia; ma esso portava la speranza della risurrezione poiché veniva trasportato nel legno. Quel legno non giovò subito, è vero: ma non appena Gesú lo toccò, esso cominciò a comunicare la vita, perché era un chiaro simbolo della salvezza che doveva diffondersi su tutti, dal patibolo della croce. Appena udite le parole del Signore, i quattro lugubri portatori della bara si fermarono: essi trascinavano il corpo umano nella mortale vicenda della sua natura materiale. Che altro significa ciò se non che anche noi ci troviamo distesi senza vita in una bara, strumento dell`ultima sepoltura, allorquando il fuoco smisurato della cupidigia senza freni ci consuma, oppure l`amore freddo ci gela, o un certo abituale torpore del corpo smorza il vigore dell`anima, o il nostro spirito, privo della vera luce, s`annebbia nell`intelligenza? Questi sono infatti i portatori del nostro funerale. Ma, sebbene i supremi sintomi della morte facciano scomparire ogni speranza di vita, sebbene i corpi dei defunti giacciano vicini al sepolcro, purtuttavia, per la Parola di Dio, i cadaveri già in disfacimento si rialzano, ritorna la voce, ed ecco il figlio viene restituito alla madre, è richiamato dalla tomba, strappato al sepolcro. Che cosa rappresenta questa tomba se non i cattivi costumi? La tua tomba è la mancanza di fede, il tuo sepolcro è la gola -infatti “la loro gola è un sepolcro spalancato” (Sal 5,11) – che pronunzia parole di morte. Da questo sepolcro ti libera Cristo, e tu da questo sepolcro risorgerai se ascolterai la Parola di Dio. Anche se sei in grave peccato, un peccato che non puoi lavare con le lacrime del pentimento, ebbene, che pianga allora per te la madre Chiesa, che interviene per ciascuno dei suoi figli come interviene la madre vedova per il suo figlio unico; essa piange per una sofferenza spirituale che in lei è naturale quando vede i suoi figli spinti verso la morte dai vizi funesti. Noi siamo le viscere delle sue viscere: vi sono infatti anche viscere spirituali, quelle che Paolo mostrava di possedere quando diceva: “Sí, fratello, possa io trarre da te qualche utile per il Signore; acqueta le mie viscere in Cristo” (Fm 20). Noi siamo le viscere della Chiesa perché siamo membra del suo corpo, siamo fatti della sua carne e delle sue ossa. Che pianga dunque la tenera madre, e un popolo, un popolo numerosissimo partecipi al dolore della buona madre. Allora tu ti risolleverai dalla morte, allora sarai liberato dal sepolcro; i portatori della tua bara si arresteranno, e tu comincerai a dire parole di vita; tutti avranno timore. E per l`esempio di uno solo molti si metteranno sulla diritta via, e loderanno Dio per averci accordato tanti potenti rimedi per evitare la morte. (Ambrogio, In Luc., 5, 89-92)
DALLA MORTE ALLA VITA
Gesú andava in un villaggio chiamato Naim e andavano con lui i discepoli e una gran folla. Avuicinandosi alla porta del villaggio, s`incontra col funerale d`un ragazzo; era figlio unico, e la madre era vedova; e c`era tanta gente. Questa vedova, seguita dalla folla, è la santa Chiesa. Della quale è detto: “Benedirò la sua vedova” (Sal 131,15). E` vedova non perché non abbia marito, ma perché non lo può vedere; aspetta che venga alla fine dei tempi. E` detta vedova, perché staccata dal marito. E questo vale per una donna vedova e per il tempo presente. Alla Chiesa del tempo presente il Signore si avvicina, perché non manca di visitare ogni giorno la sua Chiesa. Da questa vien portato via un defunto ogni volta che uno, morto per il peccato, si separa dalla Chiesa. La pia madre tuttavia lo segue in lacrime, perché neanche del figlio fuggitivo si dimenitca la Chiesa. Piange infatti ogni giorno per quelli che peccano e non fanno penitenza dei loro peccati (2Cor 12,21). Commosso a quella vista il Signore le disse: “Non piangere. E s`avvicinò e toccò la bara. I portatori si fermarono ed egli disse al morto: Ragazzo, te lo dico io, alzati. E quello ch`era morto si mise a sedere e cominciò a parlare. Ed egli lo diede a sua madre (ibid.)”. Dio consolatore degli afflitti guarda soprattutto le lacrime versate sui peccati degli altri. Tocca la bara, ferma i portatori e risuscita il morto, quando con la sua visita induce l`uomo alla penitenza. Son cattivi portatori quelli che conducono un uomo a seppellire. Son buoni portatori quelli che dal sepolcro riportano un uomo alla vita. (Bruno di Segni, In Lc., 1, 7)
MIRACOLI SIGNIFICATIVI
I miracoli del Signore e Salvatore nostro Gesú Cristo commuovono tutti coloro che li sentono, ma chi in un modo e chi in un altro. Alcuni si fermano stupiti dinanzi al fatto esteriore e non penetrano ciò che è piú grande. Altri invece dalle grandi cose operate nei corpi arrivano ad ammirare l`opera ancora piú grande che è nelle anime. Il Signore stesso dice: “Come il Padre risuscita i morti e li vivifica, cosí anche il Figlio vivifica chi vuole” (Gv 5,21). Non dice che altri siano i risuscitati del Padre e altri i risuscitati del Figlio, ma gli stessi li risuscita il Padre e il Figlio; perché il Padre fa tutto attraverso il Figlio. Nessuno, dunque, che sia cristiano, metta in dubbio che anche oggi i morti vengano risuscitati. Ogni uomo ha gli occhi per veder risorgere i morti, come fu risuscitato il figlio della vedova; ma gli occhi per veder risorgere coloro che son morti nel cuore, li hanno solo quelli che son già risorti nel loro cuore. E` cosa molto piú grande risuscitare uno che non morrà piú, che risuscitare uno che morirà di nuovo. Di quel giovane risuscitato si rallegrò la madre vedova; degli uomini che risuscitano spiritualmente ogni giorno si rallegra la madre Chiesa. Quello era morto nel corpo; questi nell`anima. La morte di quello era visibile ed era visibilmente pianta; la morte di questi è invisibile e non è vista. Ma la cerca colui che riconosce i morti; e riconosce i morti solo colui che li può restituire alla vita. Se, infatti, il Signore non fosse venuto per risuscitare i morti, l`Apostolo non potrebbe dire: “Alzati, tu che dormi, sorgi dai morti e t`illuminerà il Cristo” (Ef 5,14). Pensi a un addormentato, quando dice: “Alzati, tu che dormi”, ma comprendi che è un morto, quando senti: “Sorgi dai morti”. Spesso si parla di morte con la parola «sonno». E, veramente, per chi li può risuscitare, essi dormono. E` morto, infatti, per te, uno che, per quanto lo tocchi, stuzzichi o dilanii, non si sveglia. Per Cristo, invece, dormiva quel tale, cui disse: “Alzati”, e subito egli s`alzò. Nessuno sveglia cosí facilmente uno che dorme, come Cristo richiama uno dal sepolcro. Abbiamo tre risuscitati visibilmente da Cristo, migliaia invisibilmente. Ma, veramente, chi può dire quanti furono visibilmente risuscitati? Non è stato scritto tutto ciò ch`egli fece. Giovanni dice: “Fece Gesú molte altre cose, che se fossero state scritte, penso che il mondo non potrebbe contenerne i libri” (Gv 21,25). Certamente, dunque, molti altri furono risuscitati; ma non a caso solo tre ne sono stati registrati. Il Signore Gesú voleva che i fatti fisici avessero una portata spirituale. Non faceva il miracolo per il miracolo; voleva che ciò che destava meraviglia a chi vedeva, insegnasse una verità a chi la comprendeva. Come uno che vede le lettere di un codice scritto bene se non sa leggere, loda la bellezza della scrittura; ma che cosa dicano quei segni, non lo sa dire. Un altro, invece, apprezza la bella scrittura e ne capisce il senso; ma questo deve saper leggere. Cosí quelli che videro i miracoli di Cristo, senza capirne il senso e che cosa volessero suggerire a chi li comprendeva, ammirarono solo l`avvenimento; altri, invece, ammirarono il fatto e ne compresero il valore. Questi dobbiamo essere noi nella scuola di Cristo. (Agostino, Sermo 98, 1-3)
MORTE DISUMANA E UMANA
L’esperienza della morte sta al centro del brano evangelico. Essa è umana e insieme disumana. E’ prima di tutto disumana, perché divide gli uomini, gli affetti, le speranze, separa le madri dai figli, lascia talvolta in un’angoscia quasi insuperabile. S. Agostino esprime nelle Confessioni (IV, 4-9) i sentimenti suscitati in lui dalla morte di un carissimo amico: “ L’angoscia avviluppò il mio cuore. Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte. Era per me un tormento la mia città, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le cose che avevo avuto in comune con lui, la sua assenza le aveva trasformate in uno strazio immane. I miei occhi lo cercavano dovunque senza incontrarlo, odiavo il mondo intero perché non lo possedeva e non poteva più dirmi: Ecco verrà”. Dietro ogni morte vi sta la sua inumanità, la sua apparente assenza di perché, la sua angoscia moltiplicata all’infinito. Chi potrà narrare a parole lo strazio intimo di una madre vedova che perde l’unico figlio? Talvolta nemmeno le lacrime bastano. Eppure la morte ha anche un certo lato “umano”. Essa infatti ci pone lucidamente di fronte alla nostra reale condizione di uomini mortali. Se la morte di ogni persona non può non renderci tutti più umili e rispettosi, la morte di una persona cara ci fa presentire in modo speciale la nostra morte. (U. Proch)
SEGNO DELLA RISURREZIONE
Il miracolo che Gesù compie risuscitando il figlio della vedova rivela il suo dominio sulla morte, ma è un segno, perché la rianimazione di un cadavere è solo una vittoria momentanea, non definitiva. La liberazione totale dalla morte e da ogni male, e perciò la salvezza definitiva delle vita, è solo la risurrezione di Gesù. La resurrezione del Signore non è una rianimazione del corpo, ma una “animazione” nuova, gloriosa, diversa da quella dell’incarnazione. E l’ingresso di Cristo in una condizione nuova di esistenza. La risurrezione di Gesù è l’atto divino per mezzo del quale Dio salva oggi noi e l’umanità intera nella nostra esistenza umana. La salvezza dunque non è nell’uomo come tale o nell’umanità, neppure nel loro progressivo sviluppo, anche se protratto all’infinito. E’ necessario un “passaggio”, un intervento divino assolutamente nuovo: il passaggio dell’uomo in Dio, cioè la Pasqua di Cristo, che Dio stesso attua nel Figlio suo fatto uomo. Un passaggio dell’uomo in Dio che investe tutto l’uomo, corpo e spirito, storia e universo. Luca, illuminando di luce pasquale il racconto del miracolo dice: “Il Signore ne ebbe compassione”. (Mess. ldc)
INCONTRO DELLA MORTE CON LA VITA
Nel brano evangelico di Luca 7, 11-17, il corteo della morte si incontra con il corteo della vita; la morte come in una Pasqua anticipata, entra in duello con la vita e deve abbandonare sul campo la preda di fronte al Signore della vita, fattosi uomo per graziare di vita i destinati a morte, Sorgono allora i cori di lode, quelli che gridano che “la morte è stata ingoiata per la vittoria”, quelli in cui la speranza cristiana fa proclamare a S. Francesco d’Assisi: “Laudato si, mi Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente pò scampare”. Perché è solo nell’incontro con il Signore che l’ombra della morte riceve luce e il corteo della morte viene vivificato. Perché la morte è guarita solo se posta nelle mani del vivente: come diceva S. Agostino di se stesso già intuendo la strada: “ Per guarirla, aver dovuto sollevarmi verso di te, Signore”. (Confessioni IV, 7, 21) E così pure la madre di Agostino, che considerava suo figlio come morto, ma un morto da risuscitare con le sue lacrime versate innanzi a te”. (Confessioni VI, 1,1) perché, cioè, il Signore lo facesse risorgere dentro. (Umberto Proch)
VITTORIA DI GESU’
La vittoria di Gesù sulla morte è un segno rivelatore della sua persona, e contemporaneamente una prospettiva di speranza nelle situazioni di sofferenza e di morte e un invito all’impegno che deve rianimare la vita del credente e della comunità.
PREGHIERA (pregare la parola)
•Dio consolatore degli afflitti, tu illumini il mistero del dolore e della morte con la speranza che splende sul volto di Cristo; fa che nelle prove del nostro cammino restiamo intimamente uniti alla passione del tuo Figlio. (Colletta 10 pa C)
•Signore Dio nostro concedici di essere sempre difensori della vita e di testimoniare il nostro amore per la vita in una società, che dice di volerla difendere, ma non la ama e chiama la sua distruzione “conquista di civiltà”.
•Signore Dio mio, a te ho gridato e mi hai guarito. Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi, mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba. Cantate inni al Signore, o suoi fedeli, rendete grazie al suo santo nome, perché la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita. Alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino, ecco la gioia. Ascolta, Signore, abbi misericordia, Signore, vieni in mio aiuto. Hai mutato il mio lamento in danza, Signore, mio Dio, ti loderò per sempre. (Dal Salmo 29)
•L`anima mia, vedova, piange con la vedova, come a Nain, il proprio figlio morto; come di lei, anche di me abbi pietà, Signore; della voce vivificante fammi degno! (Nerses Snorhalí, Jesus, 460)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Testimoniamo con chiarezza il nostro amore per ogni vita umana.