Luca 12, 13-21: 13 In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, La sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 16 Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17 Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18 Farò cosi – disse-: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti! 20 Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”.21 Cosi è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
(Bibbia Cei: versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Luca 12, 13-21
Uno della folla gli disse: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l`eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell`abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 1 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».
(Bibbia Cei: versione 1971)
Esegesi
Nella seconda raccolta del capitolo 12 (13-21) è detto che bisogna rendere testimonianza a Cristo col distacco dal godimento dei beni della terra, guardandosi dalla cupidigia (13-21).
UNO DELLA FOLLA (13)
Questo personaggio, che rimane anonimo, chiama Gesù “maestro” e lo vede come un “dottore della legge”, cui compete pronunziare sentenze in casi di contrasti giuridici.
DI’ A MIO FRATELLO (13)
La richiesta riguarda la decisione circa la parte che gli spetta dell’eredità paterna; l’interlocutore evidentemente si sente defraudato dal fratello, che pare non voglia dargli nulla, e chiede a Gesù che pronunzi una sentenza equa. Il diritto giuridico in fatto di eredità era regolato in base alla legge mosaica e gli scribi si lasciavano volentieri chiamare in causa per pareri e decisioni. Quest’uomo del popolo pensa che Gesù, che è un “maestro”, possa dare una valida soluzione al suo contenzioso.
CHI MI HA FATTO GIUDICE (14)
Gesù, che è sempre pronto ad aiutare la gente corporalmente e spiritualmente, oppone in questo caso un energico rifiuto e non vuole essere giudice in affari umani. Sembra di sentire quanto viene detto a Mosè quando volle interporsi fra due connazionali: “ Chi ti ha costituito giudice fra di noi?” (Es 2, 14.) Col “chi” probabilmente Gesù pensa a Dio e intende dire che Dio non lo ha “costituito”, ossia inviato nel mondo perché si occupi delle liti, che non devono essere sbrigate da lui. Egli è stato inviato ad annunziare ai poveri la buona novella (Lc 5, 32), a dare la vita in riscatto per molti (Mc 10, 45) e a portare al mondo la vita divina. (Gv 10, 10)
Questa parola ci fa pensare che Gesù si rifiuta anche di intervenire a portare ordine negli arruffati affari di questo mondo e di trovare con la sua autorità una soluzione per questo o quell’ordinamento sociale o economico.
GUARDATEVI… DA OGNI CUPIDIGIA (15)
L’episodio diventa occasione per un ammaestramento, rivolto a tutti. Gesù mette in guardia dall’avidità, dalla “pleonexia”, che significa “volere avere di più”.
LA SUA VITA NON DIPENDE (15)
E giustifica il suo insegnamento col fatto che l’abbondanza economica non è affatto una garanzia per avere la “vita”. Come si può dedurre dalla parabola che segue, duplice è il significato di “vita”: quella dell’esistenza terrena, ma soprattutto la “vita eterna”. Il fatto che non è l’uomo ad avere in mano la vita, ma un Altro, è illustrato tutto con la parabola che segue.
LA CAMPAGNA (16)
Nella parabola si tratta di un ricco agricoltore, cui una buona annata gli ha reso tanto, che i vecchi granai non bastano più ad accogliere l’intero raccolto.
RAGIONAVA TRA SE’ (7)
Nel soliloquio l’agricoltore rivela il suo ideale: una “vita goduta” (mangiare, bere, allegria), il futuro assicurato (raccoglierò), una “vita lunga” (riposati). Le forme mutano: l’agricoltore costruiva granai, l’uomo moderno ammassa ricchezze. E’ l’etica del benessere. La parabola insiste sulla futilità di questa condotta incentrata su di sé (per una decina di volte e sottolineato l’”io”).
DIO GLI DISSE: STOLTO (20)
L’uomo è uno stolto: ha creduto che la sicurezza della vita sia nelle sue mani e nelle sue ricchezze, ha pensato di sfruttare le ricchezze solo per la vita presente, senza tener conto della morte, e non ha pensato a trarne vantaggio anche per la futura. Il suo ragionamento è stato da “miope” ed è stato davvero “stolto”.
TI SARA’ RICHIESTA LA TUA VITA (20)
Dio dà la vita e la riprende quando vuole (12, 5). “ Si, qual fantasma si muove l’uomo; si, per un soffio si dimena; ammassa, ignorando chi avrà da raccogliere” (Sl 39,7).
NON ARRICCHISCE DAVANTI A DIO (21)
Lo spasmodico tentativo di assicurare la vita terrena con le forze umane porta alla perdita della vita. La donazione a Dio e alla sua volontà preserva la vita. La sola vera ricchezza è quella del regno di Dio; l’unico modo di riscattare il possesso dei beni è di farli circolare, distribuirli agli altri, ai poveri. (12, 33 34).
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
LA TENTAZIONE DELLA PROSPERITA’
A volte le avversità provano il cuore come l`oro nella fornace (cf. Sap 3,6), quando attraverso la pazienza ne mettono in luce tutta la bontà; a volte, e non di rado, la prosperità della vita tiene per alcuni il posto della tentazione. E` ugualmente difficile, infatti, conservare nelle avversità un animo nobile e guardarsi da un abuso nella prosperità. Della prima tentazione è modello Giobbe, quel grande atleta che sostenendo con animo indomito l`impeto scrosciante del diavolo, fu tanto piú grande della tentazione, quanto piú grandi e quasi inestricabili furono le prove a lui inflitte dal nemico. (Basilio di Cesarea, In illud «Destruam», 1)
UN ESEMPIO DI TENTAZIONE DA PROSPERITA
Esempio della tentazione che nasce dalla prosperità è quel ricco che, avendo già molte ricchezze, ne sognava ancora delle altre; ma il buon Dio a principio non lo condannò per la sua ingratitudine, anzi, lo favorí con sempre nuove ricchezze, in attesa che il suo animo si volgesse una buona volta alla generosità e alla mansuetudine. Ma: “Il campo del ricco portò frutti abbondanti ed egli andava pensando: Che farò? Demolirò i miei di piú grandi” (Lc 12,16-18). Perché fu fertile il campo di quell`uomo, che non avrebbe fatto nulla di buono con quella ricchezza? Certo perché risplendesse di piú l`indulgenza di Dio, la cui bontà si estende anche a costoro, poiché: “fa piovere sui giusti e sui malvagi e fa che il sole nasca per i buoni e per i cattivi” (Mt 5,45). Ma questa bontà di Dio accresce poi la pena contro i malvagi. Dio mandò la pioggia sulla terra coltivata con mani avare, diede il sole per riscaldare i semi e moltiplicare i frutti. Da Dio viene la terra buona, il clima temperato, la fecondità dei semi, l`opera dei buoi che sono i mezzi della ricchezza dei campi. Ma qual è stata la reazione dell`uomo? Modi amari, odio, scarsezza nel dare. Questo era il ricambio a tanta magnificenza ricevuta. Non si ricordò dei suoi simili, non pensò che il superfluo dovesse essere distribuito agli indigenti, non fece nessun conto del comando: “Non ti stancare di dare al bisognoso” (Pr 3,27) e: “Spezza il tuo pane con chi ha fame” (Pr 3,3). Non sentiva la voce dei profeti, i suoi granai scoppiavano da ogni parte, ma il suo cuore avaro non era sazio. Aggiungendosi sempre nuovi prodotti ai vecchi, finí in questa inestricabile povertà di mente, che l`avarizia non gli consentiva di sottrarre ciò che superava e non aveva magazzini ove deporre la nuova ricchezza. Perciò non trova una soluzione, è affannato. “Cosa farò?”. E` infelice per la fertilità dei suoi campi, per quello che ha, piú infelice per quello che aspetta. La terra a lui non produce dei beni, gli porta sospiri; non gli accresce abbondanza di frutti, gli porta preoccupazioni, pene, ansietà. Si lamenta come i poveri. Il suo grido cosa farò? non è il medesimo che emette l`indigente? Dove troverò il cibo, il vestito? Il ricco fa lo stesso lamento. E` afflitto. Ciò che porta gioia agli altri, uccide lui. Non si rallegra, quando i granai son tutti pieni; le ricchezze sovrabbondanti e incontenibili lo feriscono; ha paura che qualche goccia, che n`esca, sia motivo di sollievo a un indigente. (Basilio di Cesarea, In illud «Destruam», 1)
ABITIAMO IN UNA TERRA STRANIERA
La nostra terra è straniera. Sapete di abitare una terra straniera. La vostra città è molto lontana da questa. Se sapete la città che dovete abitare, perché mai qui vi procurate campi, apparati sontuosi, case e dimore inutili? Chi prepara queste cose per questa città non cerca di ritornare nella propria. O stolto, dissociato e infelice, non pensi che tutte queste cose ti sono estranee e sotto il dominio di un altro? Bada, abitando in terra straniera, di non procurarti piú dello stretto necessario e sii pronto. Quando il signore di questa città vuole cacciarti perché ti sei opposto alla sua legge, uscirai da questa città e andrai nella tua e obbedirai alla tua legge senza ostilità e con gioia. Guardate voi che servite il Signore avendolo nel cuore. Fate le opere di Dio, ricordandovi dei suoi comandamenti e delle promesse che ha fatto. Credetegli, le adempirà se sono osservati i suoi precetti. Invece dei campi, riscattate le anime oppresse come uno può, visitate vedove e orfani (cf. Gc 1,27) e non disprezzateli. Consumate le vostre ricchezze e tutte le sostanze che avete ricevuto da Dio in questi campi e case. Per questo il Signore vi arricchí, per prestare a lui tali servizi. E` molto meglio acquistare questi campi, sostanze e case che ritroverai nella tua città quando vi tornerai. Questo investimento è bello e santo, non ha né tristezza né paura, ma allegria. Non fate, dunque, l`investimento dei pagani che è dannoso ai servi di Dio. Fate l`investimento che vi è proprio in cui potete rallegrarvi. Non defraudate, non toccate l`altrui e non desideratelo; è turpe desiderare le cose degli altri. Espleta il tuo lavoro e sarai salvo. (Erma, Pastor, Sim. 1)
GIUSTO USO DELLE RICCHEZZE
“Guai a voi ricchi, che avete già la vostra consolazione!” (Lc 6,24). Sebbene l`abbondanza delle ricchezze rechi con sé molte sollecitazioni al male, si trovano tuttavia in esse anche inviti alla virtù. Ma senza dubbio la virtù non ha bisogno di sussidi e l`offerta del povero è certamente piú degna di lode che la generosità del ricco. Comunque, coloro che vengono condannati dall`autorità della sentenza di Cristo non sono coloro che possiedono le ricchezze, ma coloro che non sanno usarle bene. Infatti, come il povero è piú degno di lode quando dona di buon animo e non si lascia fermare dalla minaccia della miseria, poiché non si ritiene povero se ha quello che basta alla sua condizione, cosí tanto piú degno di rimprovero è il ricco che dovrebbe, almeno, rendere grazie a Dio di tutto quello che ha ricevuto, non tener nascosto e inutilizzato quanto ha avuto per l`utilità di tutti, e non covare i suoi tesori seppellendoli sotto terra. Non è dunque la ricchezza che è condannata, ma l`attaccamento ad essa. Ebbene, quantunque l`avaro per tutta la vita faccia la guardia inquieta, un gravoso servizio di sentinella – pensa questa che non trova l`eguale -, per conservare, in un continuo e angoscioso timore di perderlo, ciò che servirà ai piaceri degli eredi, tuttavia, dato che le preoccupazioni dell`avarizia e il desiderio di ammassare si nutrono di una sorta di vana felicità, chi ha avuto la sua consolazione in questa vita presente, ha perduto la ricompensa eterna. (Ambrogio, In Luc., 5, 69)
RICCHEZZA E PROVVIDENZA
Tra fratelli non deve intromettersi un giudice, ma deve l`affetto reciproco decidere sulla ripartizione del loro patrimonio. D`altra parte, non è il patrimonio del denaro, ma quello dell`immortalità che si deve cercare; è vano infatti ammassare ricchezze senza sapere di poterne usare, come colui che, poiché i suoi granai ricolmi crollavano sotto il peso delle nuove messi, preparava magazzini per questa sovrabbondanza di raccolti, senza sapere per chi accumulava (cf. Lc 12,16-21). Resta nel mondo tutto quanto è del mondo, e ci vediamo sfuggire tutto quanto accumuliamo per i nostri eredi: infatti non è nostro ciò che non possiamo portare con noi. Solo la virtù accompagna i morti, ci segue solo la misericordia che, conducendoci e precedendoci nelle dimore del cielo, acquista per i morti, a prezzo di vil denaro, la dimora eterna, come testimoniano i precetti del Signore che ci dice: “Fatevi degli amici con le ricchezze d`iniquità, affinché essi vi accolgano nei loro padiglioni eterni” (Lc 16,9). Ecco dunque un precetto buono, salutare, capace di spingere anche gli avari a scambiare le ricchezze effimere con quelle eterne, ciò che è terrestre con ciò che è divino. (Ambrogio, In Luc., 7, 122)
SOBRIETA’
Capisci ciò che sto ripetendo ogni momento, che la sobrietà non è limitata solo all`astinenza dalla fornicazione, ma vuole il controllo e la fuga anche di tutti gli altri vizi? Dunque chi ama il denaro, non è sobrio. Come, infatti, quello va in cerca di corpi, questo va in cerca di denaro. Anzi questo è piú intemperante, perché non è trascinato con altrettanta violenza. Verrebbe, infatti, chiamato inesperto non il cocchiere, che non riuscisse a domar con le redini un cavallo focoso e senza freni, ma quello che non riuscisse a tenerne a bada uno piuttosto mansueto. (Giovanni Crisostomo, In epist. ad Titum, 5, 2)
IL SENSO DELLA VITA
Anche oggi c’è chi ragiona come i personaggi della prima lettura e del Vangelo scelti per la liturgia odierna. Alcuni tentano di programmare freneticamente la loro vita, cercando nell’impegno la loro realizzazione, senza tener conto del destino eterno. I ritmi di lavoro e di produzione diventano travolgenti, generando angosce e parossismi. La spirale delle imprese diventa così ferrea che l’uomo finisce di essere non soggetto, ma oggetto dell’organizzazione e di essere lui in funzione delle strutture e non viceversa. Altri sono spesso insidiati da un profondo scetticismo; quando si rendono conto del circolo vizioso e del non senso di tanta frenesia. Questo pessimismo li può indurre all’indifferenza, al disimpegno e alla fuga dal mondo. In Cristo si ha un capovolgimento radicale dei valori. Le realtà terrene, gli interessi mondani frenetici, perdono la centralità e il primato che spesso hanno e le cose acquistano il giusto valore.
LE COSE PER L’UOMO NON L’UOMO PER LE COSE
Il Vangelo oggi ci grida che è da stolti poggiare la vita sui beni materiali così precari, che la morte può strapparli dalle mani da un momento all’altro. Tutto è vanità: il ritornello disincantato del Qoelet ha ancora qualcosa da dirci. Che significa questo: che le cose dovranno essere oggetto di disprezzo? No, il cristiano non disprezza nulla di ciò che è uscito dalle mani di Dio e ne riflette la bellezza, ma ne coglie il carattere relativo. Comprende che le cose sono per l’uomo e non l’uomo per le cose. E poi e le cose e gli uomini, tutto insomma, è per Dio, il solo Assoluto su cui è possibile fondare l’esistenza. La funzione positiva delle cose è oggetto di esperienza quotidiana. Ma l’uso delle cose dovrebbe avvenire nella totale libertà del cuore, ed è tanto difficile questo da apparire quasi impossibile alle forze dell’uomo. Si finisce per essere posseduti dalla cose invece di dominarle. E allora non sono più strumento a servizio dell’uomo e della sua perfezione, ma impaccio e ostacolo. Di qui l’esigenza della virtù evangelica della povertà, che è propria di chi “ha l’anima di povero”, come ha detto Gesù nelle Beatitudini, e “ si serve della cose come se non se ne servisse”, come ha detto Paolo. Povero è insomma chi ha il cuore sovranamente libero da tutto. C’è per il credente una linea morale precisa: egli le cose le sfiora non ci si aggrappa, le vede, non le contempla, le pensa, ma non ci si affanna. Sa che passa la “scena di questo mondo”; e in fondo la nostra stessa esistenza è come una tenda innalzata per una notte; è un fiore che “ al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciato e dissecca”. Questa esperienza porta alla conclusione di Agostino: “ Ogni ricchezza che non sei tu è miseria per me” Il centro d’interesse si sposta. Il credente sa di essere “rivestito dell’uomo nuovo che si rinnova ad immagine del suo creatore”, e perciò il suo orientamento stabile è rivolto in una sola direzione: “le cose di lassù”. (Mariano Magrassi)
STOLTO…TI SARA’ RICHIESTA LA TUA VITA
Nella parabola del ricco stolto l’uomo può riconoscere se stesso. E’ la sua situazione che vi si rivela. Ne risulta che con tutti i suoi piani, egli non ha se stesso nelle proprie mani. Tutto ciò che l’uomo guadagna appare inconsistente sullo sfondo della morte. Egli non può tenerlo in pugno, né può aggrapparvisi. “L’uomo non è padrone della sua vita, né può evitare la morte” (Qo 8, 8). Lo sanno i sapienti di tutti i popoli, e nessun uomo può a lungo rimuovere questa verità. Essa gli piomba addosso all’improvviso e spesso proprio allora, quando fugge davanti ad essa. Ma la parabola supera la comune saggezza umana, che vede nella morte la grande livellatrice. La vita non è certamente nella mani dell’uomo, ma neanche in balia di un cieco destino, è nella mani di Dio, il solo che può indicare all’uomo il modo di uscire dalla cose di poco conto che non hanno domani e di impegnarsi nell’unica cosa necessaria, che durerà per sempre.
CAPOVOLGIMENTO RADICALE DI VALORI
Le realtà terrene, gli interessi frenetici che accampano un primato che non meritano nella nostra vita non hanno la centralità e il peso che richiedono. Il vero centro della nostra storia che dà senso a tutte le realtà è Cristo. Tutte le cose, che per sé sono inconsistenti ed effimere, solo in lui hanno consistenza e solo se subordinate a Lui acquistano un significato. (R. Scognamiglio)
IMPEGNO NEL MONDO
Lungi dall’evadere dai propri impegni terreni, il cristiano trova nella sua fede le motivazioni più vere e profonde per essere fedele al posto che occupa. Non ragiona come il ricco egoista del Vangelo, non si ripiega sul proprio godimento, ma arricchisce davanti a Dio. Questo arricchirsi per Dio investe ogni settore delle sue capacità e diventa fatto di vera promozione. L’impegno nel temporale acquista più consistenza e spessore. Agendo in vista di Dio, si fa del bene, ci si arricchisce di opere buone, si è pronti a dare ed essere generosi, mettendosi da parte per il futuro un capitale che non si deteriora. (P. Schenker)
VALUTAZIONE DELL’UOMO
Ognuno di noi può essere valutato o svalutato in base al proprio orientamento. L’uomo spirituale si rivolge di preferenza ai beni dello spirito. L’uomo materiale, carnale, terrestre, si aggrappa invece ai beni fatti di materia, ai piaceri, alla carne, alle effimere conquiste che durano una manciata di giorni. Queste realtà diventano spesso idoli, davanti ai quali folle immense si prostrano. Folle alienate, che hanno perduto il senso dei valori. Il cristianesimo si oppone a queste idolatrie, che rendono schiavo l’uomo e ricorda a tutti la scala dei valori indicati da Cristo, che arricchiscono di Dio e per Dio di un tesoro da serbare lassù, nei cieli, dove né tignola, né ruggine, né ladri possono distruggere o trafugare. (R. Sorgia)
QUEL CHE CONTA
Dice la Gaudium et Spes (1) che non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi un’eco nel cuore dei discepoli di Gesù. Conta dunque tutto quello che è genuinamente umano. Contano il proprio corpo, il corpo degli altri, la natura, la storia, l’amore che lega un uomo a una donna. Contano i figli, gli amici, il lavoro. Conta l’attività economica, lo sport, l’arte. Contano tutte le realtà e gli eventi, purché umani, cioè genuinamente umani. Se genuinamente umani, contano di per se stessi, ma non sono la salvezza. Questo è Vangelo, buona notizia. Perché se ciò che umanamente conta salvasse, si incontrerebbe sempre chi ha poco o niente di ciò che conta, e allora costui resterebbe al di fuori della salvezza. Invece no: anche chi non ha nulla di ciò che umanamente conta riceve la salvezza, solo che la chieda e l’accolga, da chi la dà a piene mani, arricchendo così davvero chi ha nulla e lasciando andare via a mani vuote chi è umanamente ricco. Sono le parole del Vangelo di Luca (1, 52-53) attribuite a Maria. Sono parole di buon annunzio di salvezza, sono stravolgimento di ciò che agli occhi della sapienza e potenza umana è ovvio, ma che non è ovvio nel piano di Dio. (Giacomo Grosso)
LIBERTA’
Nel capitolo 12, Luca riporta alcune istruzioni di Gesù ai discepoli, che chiama a vivere in una comunità aperta e pubblica caratterizzata da fiducia, coraggio, povertà, vigilanza responsabile, libertà di fronte alle persecuzioni. E libertà anche di fronte ai beni materiali, che non sono il fondamento della vita: “ La vita non dipende dai suoi averi”.
ARRICCHERA DAVANTI A DIO
Chi “accumula tesori per sé” è un illuso e uno stolto, non garantisce la vita e arriva a perdere tutto, perché l’avidità mette su una pista falsa. Di contro sta “chi arricchisce davanti a Dio”. E’ l’invito, più volte ripetuto nel Vangelo di Luca a vendere quello che si ha per farsi un tesoro in cielo. Certo, per capire e accettare queste cose bisogna aver ben chiaro che la vita non si esaurisce nella nostra esperienza terrena. (Domenico Pezzini)
RIFLESSIONI
Illusione della sicurezza data dai soldi: “ Stolto, questa notte stessa morirai”. Stoltezza di chi esclude Dio dalla vita: “ Così è di chi…non arricchisce davanti a Dio”.
I fratelli che litigano per l’eredità sono ammoniti a non farsi vincere dalla cupidigia. Se hanno capito la lezione, si sono divisi l’eredità tranquillamente, senza cedere alla cupidigia.
Lo stolto della parabola dimentica che la vita non è sua e che Dio è prima di noi, che quanto abbiamo è suo e che Dio solo è il principio in tutto, anche nella ricchezza. E dimentica la finalità delle cose.
La ricchezza vale se porta verso Dio, se è costruita con onestà, se è amministrata con rettitudine, se è distribuita con giustizia e con amore, se è posta a frutto per il bene comune. Nell’uso delle cose il cristiano non deve perdere di vista l’essenziale: dare un’anima a questo corpo terrestre. E per questo è necessario mettersi decisamente alla scuola di Cristo.
Conta tutto ciò che è genuinamente umano. Ma nulla arreca la salvezza, che viene solo da Dio.
Non siamo forse troppo attaccati ai beni terreni, nutrendo un’esagerata avidità di guadagno, persino a danno della giustizia e della carità?
Siamo sensibili di fronte all’ingiusta ripartizione delle ricchezze, di fronte alle condizioni di vita spesso disumane, imposte a certe categorie di lavoratori?
In un mondo dove il denaro è re, dove l’importanza dipende dalla ricchezza, quale testimonianza di povertà e di distacco evangelico sappiamo dare noi, che siamo discepoli di Cristo?
PREGHIERA (pregare la parola)
•O Dio, principio e fine di tutte le cose, che in Cristo tuo Figlio ci hai chiamati a possedere il regno, fa che operando con le nostre forze a sottomettere la terra non ci lasciamo dominare dalla cupidigia e dell’egoismo, ma cerchiamo sempre ciò che vale davanti a te. (Colletta della 18 domenica durante l’anno C)
•Venite applaudiamo al Signore, acclamiamo alla roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio, davanti al Signore che ci ha creati. Egli è il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo. Il gregge che egli conduce. Ascoltate oggi la sua voce: “ Non indurite il vostro cuore, come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri, mi misero alla prova, pur avendo visto le mie opere”. (Dal Salmo 94)
•O Dio, nostro creatore, concedi a noi di riporre la nostra sicurezza in te, e di assumere la nostra parte di responsabilità perché il profitto non sia il fine ultimo della vita e dell’attività economica, ma sia posto a servizio della crescita totale dell’uomo. (Messale LDC)
•Ti preghiamo, Signore, per chi è ricco, e forse si illude di aver risolto il problema della sua vita: illumina la mente di chi possiede tante cose, perché si renda conto che sono solo parzialmente sue, e che la vita non dipende dai suoi beni.
•Signore, ti preghiamo per chi è povero, e crede che per lui non ci sia possibilità di gioia: fa che trovi l’attenzione di chi è ricco, e liberalo dal rischio di credere che l’ingordigia sia la sua salvezza.
•Signore, ti preghiamo per noi, che ascoltiamo e meditiamo le tue parole: perché sappiamo ogni giorno dare ai beni e alle cose il giusto valore, così che servano ad arricchirci davanti a te. (Preghiere di Domenico Pezzini)
•Donaci, Signore, la sapienza di saper discernere i beni falsi da quelli che durano e danno qualità alla vita, donaci la sapienza e il gusto del vero, il senso dei valori, per riuscire nella vita e per trovare le cose di lassù che vanno oltre la morte.
•Liberaci, Signore dalla brama di possedere sempre di più che ci fa vivere in continua preoccupazione e insoddisfazione; liberaci e rendici il cuore capace di librarci, come aquile nel cielo della generosità, della condivisione, della carità evangelica, della santità alla quale tu ci chiami. (Giuseppe Socino)
•Facci comprendere, Signore, che non siamo stati chiamati alla cupidigia, ma ad essere conformi all’immagine del Figlio tuo, che si è fatto povero per nostro amore.
•Ti ringraziamo, Signore, per tutti i segni del tuo amore, per tutti i beni che sempre ci doni; accresci in noi la lode e il rendimento di grazie, anche per coloro che non riconoscono di averli ricevuti. (Suore Dorotee)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Guardiamoci e teniamoci “lontano da ogni cupidigia.