Matteo 23, 1-12: 1 In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4 Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7 dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì” perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10 E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11 Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12 chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
(Bibbia Cei: versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Matteo 23, 1-12
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; amano posti d`onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì“dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì“, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestrì`, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato. (Bibbia Cei: versione 1971)
Esegesi
Il capitolo 23 è una delle grandi composizioni redazionali di Matteo. L’evangelista ha attinto il materiale da varie fonti ed ha impresso il suo timbro di autore personale, che opera con ritocchi e aggiunte e dispone i detti in modo tanto abile da creare un’unità tematica. Alcuni defininiscono anche il capitolo 23 “ discorso”, come gli altri cinque che di solito vengono citati (montagna, missione, comunità, regno, escatologico) e in questo caso contro i maestri della legge e i farisei. Una specie di discorso è davvero e precede quello sulle ultime cose (capitoli 24-25). La prima parte del capitolo, che corrisponde alla pericope liturgica odierna è indirizzata alla gente e ai discepoli. E’ di carattere esortativo: ammonisce a prendere le dovute distanze dai maestri giudaici della legge e dai farisei, di cui traccia un ritratto demolitore. Seguono sette invettive (13-36) di inaudita asprezza, che richiamano le parole più roventi ed ardenti dei profeti. Il capitolo si chiude con un accorato lamento sulla città di Gerusalemme (37-39).
ALLA FOLLA E AI SUOI DISCEPOLI (1)
E’ detto che gli ascoltatori sono rappresentati dalla folla e dai discepoli. In realtà a queste due categorie di persone è rivolto il contenuto dei versetti 2-7, mentre i versetti 8-12 riguardano la comunità cristiana. Il resto (dal versetto 13) è un’invettiva contro i Farisei e la nazione giudaica, che non suppone necessariamente la presenza delle folle.
SULLA CATTEDRA DI MOSE’ (2)
Si allude probabilmente ai particolari seggi d’onore, in pietra, che nelle Sinagoghe erano riservati ai dottori della Legge, e venivano denominati “cattedre di Mosè”, perché da esse gli Scribi impartivano al popolo le loro sentenze interpretative della Legge.
SCRIBI E FARISEI (2)
L’espressione “scribi e farisei” è caratteristica di Matteo. Essa rispecchia la situazione del rabbinato dopo il 70, quando sopravvisse spiritualmente solo il giudaismo farisaico.
QUANTO VI DICONO (3)
Gesù riconosce l’autorità del loro insegnamento, ma mette in guardia la folla e i discepoli dalla loro condotta. Il contrasto sta nel fatto che “dicono e non fanno”.
LEGANO INFATTI (4)
Il rimprovero agli scribi e farisei è ripetuto. Il termine “legare” significa “ dichiarare obbligatorie”. “Fardello della legge” è immagine classica e indica le esigenze presentate dai Farisei e dagli Scribi al popolo come ideale da realizzare. Il primo rimprovero è che Scribi e Farisei dichiarano obbligatorie determinate cose, ma essi trovano sempre qualche scusa per non osservarla. Che il fardello della legge mosaica fosse “pesante” lo dice anche Pietro, durante il Concilio di Gerusalemme “Perché tentate Dio, volendo imporre sul collo dei discepoli un giogo che nei nostri padri né noi possiamo portare? (Atti 15, 10). Anche Gesù parla del suo “fardello”, ma dice che è “ leggero e soave”, eppure le sue esigenze non sono meno gravose, anzi lo sono di più. Questo difficile problema rimane al centro del dibattito giudaico-cristiano: Legge-Vangelo.
TUTTE LE LORO OPERE (5)
Un secondo rimprovera riguarda le intenzione delle azioni di scribi e farisei. Essi agivano sempre in pubblico per essere visti e lodati. La loro era un pietà che cercava il riconoscimento degli uomini.
FILATTERI.. FRANGE (5)
I filatteri (letteralmente: “custodie”) erano delle borsette di cuoio, contenenti frammenti di pergamene, in cui erano riportati testi biblici di particolare importanza. Tali custodie veniva assicurate alla fronte e al braccio sinistro con strisce, per cui vennero chiamate “strisce (tefellin in aramaico) di preghiera”. Questa strana usanza proveniva da un’interpretazione letterale di Dt 6, 6-8: “ Le parole che io oggi ti ordino restino nel tuo cuore… Tu le legherai alla mano qual segno e penderanno dalla fronte tra i tuoi occhi”. Analoga funzione avevano le “frange” del mantello. Ogni Israelita, in ossequio a quanto indicato in Nm 15, 37, portava “ frange (zizit) di preghiera” ai quattro capi della veste. Gesù non condanna espressamente queste usanze, ma solo lo spirito di ostentazione con cui venivano praticate. Tale spirito si rivela anche nell’ambizione di mettersi in mostra (amano posti d’onore) e di essere rispettati; la superbia per l’influenza che esercitavano. Il v. 5 sintetizza questo spirito e atteggiamento “ Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini”.
RABBI (7)
“Rabbì” è il titolo onorifico, che dalla fine del 1 secolo fu riservato in Palestina ai dottori della Legge, Da esso proviene “rabbino”. Il v. 7 introduce quel che segue. MA VOI (8-12) Il brano, data la sua intonazione palesemente cristiana, non sembra trovarsi qui al suo posto originario: forse è stato riportato qui dal richiamo della parola “rabbi” del versetto precedente. Qui Matteo traccia a grandi linee la figura della Chiesa ideale. Essa è una comunità di fratelli, istruiti e guidati da un unico maestro Gesù Cristo, che ha un solo Padre celeste, Dio. Nessuna autorità umana può essere in concorrenza con l’autorità del Padre e di Cristo o può porsi in posizione di superiorità sui fratelli. Con questo non si nega la presenza di un’autorità, anzi essa è necessaria, ma la si deve interpretare non come dominio, ma come servizio umile e fedele reso ai fratelli.
IL PIU’ GRANDE TRA VOI (11)
Questa lezione è stata già impartita da Gesù ai suoi discepoli in occasione della richiesta di un posto di preminenza da parte dei figli di Zebedeo (Mt 20, 26-27).
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
L’ESSENZIALE DELLA LEGGE
Nella Legge come nel Vangelo il primo e più grande comandamento è lo stesso, cioè amare il Signore Dio con tutto il cuore, e il secondo del pari, cioè amare il prossimo come se stessi, è acquisita la prova che vi è un solo e medesimo Legislatore. I comandamenti essenziali della vita, per il fatto che sono gli stessi in un verso e nell`altro, manifestano effettivamente lo stesso Signore: infatti, se ha impartito comandi particolari adatti all`una o all`altra alleanza, per quanto attiene a comandamenti universali e più importanti, senza i quali non vi può essere salvezza, sono gli stessi da lui proposti da una parte e dall`altra. Chi non avrebbe confuso il Signore, quando affermava, insegnando alla folla e ai discepoli, nei termini seguenti, che la Legge non veniva da un altro Dio: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei: osservate dunque e fate tutto ciò che essi vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perchè dicono e non fanno; legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito (Mt 23,2-1)? Egli non condannava la legge di Mosè, dal momento che li invitava ad osservarla fintanto che sussistesse Gerusalemme: ma erano essi che egli biasimava, perchè, pur proclamando le parole della Legge, erano vuoti d`amore e, per questo, violatori della Legge rispetto a Dio e al prossimo. Come dice Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me, è invano che mi rendono culto, mentre insegnano dottrine e comandamenti di uomini” (Is 29,13). Non è la Legge di Mosè che egli chiama «comandamenti di uomini», bensì le tradizioni dei loro anziani, inventate di sana pianta, per difendere i quali essi rigettavano la Legge di Dio e, come conseguenza non si sottomettevano neppure al suo Verbo. E` quanto Paolo sottolinea a loro proposito: “Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio: infatti, il termine della Legge è Cristo, per la giustificazione di ogni credente” (Rm 10,3-1). Come Cristo sarebbe il termine della Legge, se non ne fosse stato anche il principio? Infatti, colui che ha portato a termine è anche colui che ha realizzato il principio. E` lui che diceva a Mosè: “Ho visto l`afflizione del mio popolo in Egitto, e sono disceso per liberarlo” (Es 3,7-8). Fin dal principio, infatti, era solito salire e scendere per la salvezza degli afflitti. (Ireneo di Lione, Adv. Haer. IV, 12, 1-4)
NECESSITA DELLE OPERE
Gesù condanna l`inganno degli pseudoprofeti e le simulazioni degli ipocriti, che trovano nella potenza della parola di che attribuirsi una gloria nella profezia della dottrina, nel cacciare i demoni e in siffatte azioni miracolose, e da ciò promettono a sè stessi il regno dei cieli – come se veramente ciò che dicono e ciò che fanno fosse proprio di loro e non fosse invece la virtù di Dio quando è invocata, a compiere tutto -, mentre è la lettura che dà la scienza della dottrina ed è il nome di Cristo che provoca la cacciata dei demoni; dobbiamo dunque meritare a nostre spese questa eternità beata, e intraprendere qualcosa da noi stessi per volere il bene, evitare ogni male, obbedire di tutto cuore ai precetti celesti e adempiere tutti questi doveri per essere conosciuti da Dio e far ciò che egli desidera, piuttosto che gloriarci di ciò che sta in suo potere, lui che respinge e scarta coloro che per le opere inique non hanno potuto conoscerlo. (Ilario di Poitiers, In Matth. 6, 4-5)
AUTENTICITA CRISTIANA
Il dramma umano dell’apparire e dell’essere, della maschera e del volto, diventa, nella sequela di Cristo, il dramma della coerenza e dell’autenticità cristiana, del rapporto tra fede e opere, tra moralità e legalità. L’ideale cristiano è certamente molto alto; proprio per questo i cristiani vengono accusati di dare ad intendere di realizzarlo, mentre nella realtà essi sarebbero come gli altri: l’ipocrisia e il fariseismo accompagnerebbe inevitabilmente l’esperienza di chi professa la realizzazione dell’ideale evangelico. Come credenti dobbiamo accogliere questa frequente accusa come invito a purificare e rivedere continuamente la nostra esperienza cristiana: ciò è ancora più necessario per il fatto che lo stesso Gesù ci mette in guardia con parole estremamente forti da questo pericolo. Il “fariseo” non è soltanto un personaggio tipico del giudaismo; egli è un “tipico” personaggio di ogni esperienza religiosa, compresa quella cristiana, quando cade nella contraffazione e negli stravolgimenti del vangelo. “ Fariseo” cristiano è ognuno i noi quando riduce il vangelo all’apparire più che all’essere, al dire più che al fare, alla legalità più che alla moralità interiore, alle opere della Legge più che alla fede che vivifica le opere, al compromesso accomodante più che alla testimonianza coraggiosa e crocifissa, alla glorificazione del proprio io più che alla gloria di Dio. (Duilio Bonifazi)
AUTORITA COME SERVIZIO
C’è l’esigenza di autenticità e di coerenza nell’esperienza cristiana, come in ogni esperienza religiosa, contro ogni forma di “ipocrisia”, di “fariseismo”, di esteriorità apparente, di proclamazione puramente verbale non sostenuta dalla testimonianza di vita. E’ esigenza di coerenza tra il dire e il fare, tra l’apparire e l’essere, tra la fede e le opere, affinché l’esperienza cristiana recuperi l’unità vitale. C’è l’esigenza dell’autenticità nell’espletamento del ministero dell’autorità nella comunità cristiana. E’ l’esigenza di una ministerialità gerarchica come “servizio” magisteriale, sacerdotale, e regale, che continuamente si purifichi da ogni forma di potere, di affermazione di sé, per essere il sacramento del “servizio” del Cristo per la comunità e per l’intera umanità. (Duilio Bonifazi)
COMPORTAMENTI SBAGLIATI
Gesù mette in guardia i cristiani da tre comportamenti sbagliati: l’esibizionismo religioso, il culto della persona, l’abuso del potere. Gesù porta anzitutto alcuni esempi dell’esibizionismo religioso dei farisei, ai limiti della teatralità: (“allargano le loro filatterie”, “allungano le frange dei mantelli”, “amano i primi posti”). Questa ostentazione religiosa strumentalizzava una facciata di perbenismo a fini di basso arrivismo e di vistosa distinzione sociale. Il secondo pericolo da cui mette in guardia Gesù è il culto della persone: per il cristiano al centro c’è il maestro Gesù, il Padre che è nei cieli, Dio. Il terzo pericolo è quello di usare l’autorità per imporre il proprio potere sugli altri e non per servire gli altri: “Il più grande tra voi deve essere il vostro servo”. I pericoli dai quali mette in guardia il Signore possono essere presenti anche oggi nella comunità dei fedeli. Gesù vuole la sua Chiesa come comunità di fratelli. Quale senso avrebbe dire che nella Chiesa ci sono “persone importanti?”. Importante è il Padre; importante è ogni uomo, perché immagine di Dio. Gesù ci mette in guardia anche dal pericolo del potere. Una traduzione fedele è il titolo che tradizionalmente il papa dava a se stesso: “Servo dei servi di Dio”. E’ un motto molto significativo per chi esercita l’autorità, purché però non rimanga un slogan, ma si traduca nei comportamenti quotidiani. (Giovanni Nervo)
NON CHIAMATE NESSUNO PADRE
Se pensiamo ai discepoli di Gesù, ci accorgiamo che essi per seguire lui hanno lasciato padre, madre, lavoro e sono entrati a far parte della nuova famiglia di Gesù. Gesù chiede che si sia disposti e lasciare la propria famiglia per aderire a lui. Ma nella nuova famiglia di Gesù c’è un Padre, quello del cielo. Per i discepoli Dio è divenuto Padre, ed essi possono ora rivolgersi a Lui, usando il termine che usavano per il padre terreno: “abbà”. seguendo Gesù i discepoli hanno trovato un Padre che ha cura di loro: “ Il Padre vostro sa tutto ciò di cui avete bisogno” (Mt 6, 32). E’ in questo contesto che si può capire la preghiera del Padre nostro: è la preghiera dei discepoli che hanno lasciato tutto e hanno trovato un Padre al quale domandano il pane quotidiano. I discepoli non devono chiamare padre nessun altro sulla terra. Essi formano la nuova famiglia di Gesù, dove tutti sono fratelli e sorelle. L’unico che ha autorità e potere è Dio: i rapporti di discepoli non conoscono più relazioni di potere e sudditanza. Sarebbe infatti strano che i discepoli, dopo aver lasciato il padre, incontrassero altri “padri” tra i loro condiscepoli. essi invece trovano fratelli, sorelle, ma nessun altro padre, se non quello del cielo. (A. Bonora)
IL PIU GRANDE SIA SERVO
La proposta di Gesù è così espressa: “Il più grande tra voi sia il vostro servo”. Gesù rifiutò di farsi servire, come disse all’ultima cena, quando lavò i piedi ai suoi discepoli (Gv 13, 1-20). La pagina evangelica di questa domenica ci propone un ideale di comunità fraterna, senza padri, una comunità di servitori, cioè proprio il contrario della società del mondo, dove le relazioni sono basate sul dominio, il potere, il farsi servire e onorare. Gesù propone una comunità contrasto, una società di tipo diverso da quelle costituite dagli uomini. Le nostre comunità sono costruite su queste esigenze evangeliche? (Antonio Bonora)
TUTTI FRATELLI
Il discepolo di Gesù sa essere fratello perché sa di essere povero, perché sa di avere bisogno di Dio e degli altri. Non è maestro, e in un certo senso non ha niente da insegnare: ha solo da proporre la sua povertà, la sua consapevolezza di dipendere dall’amore e dalla bontà di Dio, che diventa così la radice, per invitare gli altri a condividere la stessa povertà, che diventa così la radice che rende possibile la fraternità. “Voi siete tutti fratelli”: una volta che questa convinzione è entrata nel nostro cuore non è più possibile essere spietati verso gli altri, l’ipocrisia non può nemmeno spuntare. La cosa più urgente e più importante che il cristiano possa fare è lavorare instancabilmente per costruire rapporti di fraternità: la predicazione del Vangelo non passa senza questa premessa, non è efficace senza questo risultato. Tutto il resto viene dopo. (Domenico Pezzini)
ESPERIENZE DI AMORE NEL MONDO
La parola di Dio è rivolta a tutti i cristiani, per ammaestrarli sulla loro presenza e sulla loro vita nel mondo. La consapevolezza di essere beneficiari della trasmissione piena della verità e della grazia ci può rendere “farisei” di fronte a quanti non partecipano pienamente della nostra comunione ecclesiale. L’atteggiamento di sufficienza e di condanna di fronte ai fratelli cristiani separati e ai membri di altre religioni ci potrebbe portare a racchiuderci altezzosamente nelle nostre mura, svalutando tutti i germi di verità e le esperienze di carità e di amore che con tanta ricchezza lo Spirito di Dio semina nel mondo. (Luigi Bettazzi)
DIRE E FARE
Dei Farisei è detto: “dicono è non fanno”, è incoerenza, e “fanno tutto per essere visti” è l’ipocrisia. Sono richiamo sempre attuali. Per superare questo scoglio, lo sguardo deve essere rivolto anzitutto a Dio. Dio fa quello che dice. In ebraico c’è un termine, “debar”, per indicare la Parola e l’avvenimento. Dio mantiene le sue promesse per “mille generazioni”. E quando dice: “ “Sia la luce” la luce balza all’esistenza. Per l’uomo un proverbio dice: “dal dire al fare c’è di mezzo il mare”. Per Dio non c’è di mezzo niente, perché dire e fare per Dio sono la stessa cosa. Quando poi Gesù Cristo viene a farsi vedere da noi, non comincia col parlare, ma col fare. “Incominciò a fare e a insegnare”, dice il Vangelo. Nella struttura stessa del Vangelo i discorsi diventano un commento ai fatti. Gesù perciò può dire: “Imparate da me”. E il cristiano è uno che segue le orme di Gesù, gli “va dietro”, prima ancora che uno che accetta il messaggio. Del resto questo messaggio che altro è se non la Persona di Cristo? San Paolo ha condensato bene questo stile nella celebre espressione: “Fare la verità nella carità”. La verità dunque è qualcosa da fare. Lo stesso Paolo può dire perciò: “Siete miei imitatori come io lo sono di Cristo”. E’ una verità che si trasmette da persona a persona attraverso l’esperienza. E quale esperienza luminosa in Paolo, quale perfetta coerenza tra la vita e l’annuncio! “Avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio ma la nostra stessa vita, tanto ci siete divenuti cari”. (M. Magrassi)
SANTITA’ E PECCATO
L’equazione tra vita e Vangelo si chiama “ santità” e tutti siamo chiamati alla santità. La discordanza invece si chiama “peccato”. Ora è vero che è tanto difficile eliminare totalmente il peccato dalla vita. Neanche i santi hanno evitato ogni incoerenza. Ma non si sono rassegnati a questo, e hanno saputo definitivamente ricominciare. Ciò che Gesù stigmatizza è l’incoerenza, supinamente accettata, e poi eretta a metodo di vita. L’ipocrisia dei farisei non era altro. (Mariano Magrassi)
IPOCRISIA: INSIDIA NASCOSTA
L’ipocrisia ha impedito al popolo giudaico di varcare la soglia che doveva portarlo al riconoscimento del vero Messia. E’ un pericolo che corre anche il popolo cristiano: di snaturare il volto stesso del Regno di Dio. I cristiani non sono premuniti più dei Giudei contro il rischio dell’ipocrisia, perché l’orgoglio sottile, da una parete, e una certa inerzia spirituale dall’altra, continuano a lavorare in mezzo a loro. Spesso si tratta di un’ipocrisia oggettiva che è insita in fatti e comportamenti poco chiari e decisi. Coloro che hanno responsabilità sono, più degli altri, in pericolo di comportarsi con una certa ipocrisia. Per stare sopra le parti, per non prendere decisioni che possono dispiacere, sono tentati di non intervenire, di rispondere in maniera evasiva anche quando si esigerebbe da loro una scelta chiara, una presa di posizione decisa, anche se rischiosa e impopolare. (Messalino LDC)
UMILTA’ E SERVIZIO
“Non fatevi chiamare “rabbì”…non chiamate nessuno “padre”. non fatevi chiamare “maestri”. Gesù proibisce l’uso materiale di questi titoli? In realtà Gesù si colloca su un altro piano: non quello del gesto esterno, ma quello del cuore e quindi del modo con cui si vive il gesto esterno. Non è importante usare o no le la parola “maestro”: impostante è non sentirsi maestri degli altri e non imporre agli altri il proprio insegnamento. Vengono date due motivazioni del comando: anzitutto il riconoscimento di Gesù come unico maestro della comunità cristiana, poi il senso essenziale di fraternità che deve unire tutti i credenti. Puoi insegnare, dunque; ma quando tu insegni bisogna che non sia tu il maestro, ma Gesù; bisogna che tu trasmetta con fedeltà le sue parole, che sia solo un tramite umile del suo magistero. Così ancora: puoi insegnare, ma non pensare che questo ti metta al di sopra degli altri: sta attento alle possibili “deformazioni professionali” che ti spingono a comportarti come maestro degli altri in tutti i rapporti. No: tu sei e rimani anzitutto fratello. Operi come maestro, o meglio come sacramento di Gesù maestro, quando insegni il Vangelo; ma sei e rimani essenzialmente un fratello che ha esperimentato come tutti la misericordia e la benevolenza del Signore e vive con stupore della sua grazia. (L. Monari)
L’ESEMPIO DI PAOLO (2° Lettura)
San Paolo era conscio di aver avuto l’autorità eccezionale di apostolo, ma quale differenza con i farisei, Egli dice: “ E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi, né da altri pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo (1 Ts 2, 7). San Paolo era al culmine delle singole comunità da lui fondate e per mandato esplicito di Cristo. Era riconosciuto dal collegio apostolico. Tuttavia egli si comportava con l’amore e l’umiltà di una madre che cura le proprie creature. Non sfruttava a suo profitto coloro che gli erano affidati, ma aveva tale spirito di dedizione, che si diceva disposto a dar la vita per loro. Pur avendo diritto al sostentamento lavorava giorno e notte con le sue stesse mani, per non essere di aggravio a nessuno. (V. Raffa)
PREGHIERA (pregare la parola)
•Donaci la luce del tuo Spirito, perché nessuno di noi ardisca usurpare la tua gloria, ma riconoscendo in ogni uomo la dignità dei tuoi figli, non solo a parola, ma con le opere, ci dimostriamo discepoli dell’unico Maestro, che si è fatto uomo per amore. (Colletta 31 perannum A)
•Tienici vicino a Te, Signore, nella tua pace, non farci allontanare da te quando la voglia di apparire ci vorrebbe far occupare il primo posto che spetta solo a te.
•Sostienici nella lotta, Signore, per conquistare l’umiltà del cuore, ricordandoci che tu ti compiaci degli umili e dei semplici. Donaci la coerenza per essere cristiani non solo a parole, ma con la vita. (Giuseppe Sacino)
•O Dio, Padre nostro, siamo tutti tuoi figli; da te abbiamo la vita, il perdono, la grazia. Concedi per lo Spirito che hai posto in noi, che la nostra vita renda sempre trasparente questa comune realtà.
•O Dio, nostro Padre e nostro unico Signore, noi siamo quelli che dicono e non fanno. Liberaci dall’ipocrisia e dal complesso di superiorità perché tutti siamo figli tuoi e fratelli in Cristo. (Basilio Caballero)
•Rinforza con la tua grazia, Signore, i servitori del tuo popolo, perché la parola che annunziamo diventi in loro verità. Conserva nella fede i più deboli e quelli che sono tentati di abbandonare. (B. Caballero)
•Fa, o Padre, che il nostro esempio evangelico d’umile amore e fratellanza sincera irrobustisca i vacillanti, perché, guidati dallo Spirito, camminiamo insieme con il cuore allargato sulla strada della verità. (Basilio Caballero)
•Ti preghiamo, Signore, per tutti coloro che nelle strutture politiche e sociali sono costituiti in autorità. Essi si trovano investiti di potere, e molte volte sono tentati di abusarne. Fa che trovino nell’insegnamento e nell’esempio di Cristo la giusta direttiva per la loro azione. (Enzo Bianchi)
•Molti giovani s’impegnano in varie forme di apostolato. Ti chiediamo, Signore, che facciano prevalere il servizio sul potere, la promozione sull’oppressione, l’incontro cordiale sulle divisioni e contrapposizioni. (Enzo Bianchi)
•Liberaci, Signore, dallo spirito farisaico, fatto di vanità, di presunzione, di insensibilità, di ipocrisia, di superbia. Aiutaci a percorrere la via della verità e dell’umiltà, che ci metta al servizio dei fratelli, nella pazienza, nella dolcezza, nella totale dedizione.
•Signore Dio, che vuoi salvare tutti gli uomini per mezzo del tuo Figlio, tu vedi quanto insufficienti sono gli annunciatori del Vangelo. Il tuo Spirito di amore susciti in tanti cuori generosi il desiderio di diventare continuatori dell’opera di Cristo. (Ch Berthes)
•Ottienimi, Beatissima e dolcissima Vergine Maria, una vera carità perché ami con tutto il cuore il tuo santissimo Figlio e nostro Signore Gesù Cristo; e te, dopo di lui, sopra ogni creatura e il prossimo in Dio e per Dio, così da godere del suo bene, soffrire del suo male, non disprezzare né giudicare alcuno, né preferirmi ad alcuno nel segreto del cuore. Fa ancora, Regina del cielo, che custodisca sempre nel mio cuore l’amore e il timore del tuo dolcissimo Figlio; che di continuo renda grazie per i tanti benefici concessimi, non per mio merito, ma per la sua bontà. (Da una preghiera di S. Tommaso d’Acquino)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Dimostriamo di essere discepoli dell’unico Maestro, rispettando tutti i figli dell’unico Padre.