Marco 12, 38-44:38 In quel tempo. Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39 avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40 Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». 41 Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42 Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43 Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44 Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
(Bibbia Cei: versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Marco 12, 38-44
In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave». E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere»
(Bibbia Cei: versione 1971)
Esegesi
Il Vangelo di Marco va verso la conclusione. Nella sua permanenza a Gerusalemme, prima della passione, Gesù ha cinque dispute – precisazioni: sulla sua autorità (11, 27-33), sul tributo da dare a Cesare (12, 13-17), sulla risurrezione dei morti (12, 18-27), sul grande comandamento (12, 28-34) sul Messia Figlio e Signore di Davide. Segua la pericope che oggi la liturgia ci propone. Poi il capitolo 13 contiene il discorso escatologico e nel 14° iniziano i racconti della passione e morte. Il brano odierno comprende due parti: la rottura con gli scribi e la presentazione di una povera vedova come modello di generosità.
Scriba era il nome che dai tempi di Esdra veniva dato ai maestri della Legge. Gli scribi ricevevano una formazione appropriata ed erano ritenuti e chiamati Rabbi. Erano teologi e giuristi e le loro spiegazioni formarono presto una raccolta di norme accanto alla Legge, molti erano anche Farisei. Formavano una classe distinta e molto influente e si appoggiavano ai partiti (Farisei, Sadducei, Esseni); nel NT li troviamo con i Farisei nei conflitti contro Gesù, ma non tutti gli erano nemici Uno scriba che interroga benevolmente il Maestro sul più grande dei comandamenti lo abbiamo incontrato domenica scorsa. Anche nella storia delle Chiesa ci sono scribi favorevoli, come Gamaliele (Atti 5, 34,) che difende gli Apostoli imprigionati dal Sinedrio.
Non troviamo in Marco le requisitorie del capitolo 23 di Matteo contro Farisei e Scribi, ma anche l’elenco di difetti elencati in questo Vangelo (orgoglio, rapacità ipocrisia) li bolla senza pietà ed è un indice della rottura definitiva di Gesù con loro.
INSEGNAVA (38)
L’insegnamento è rivolto alla folla, e al di là della folla, alla comunità dei discepoli ed è una messa in guardia da due atteggiamenti biasimevoli degli scribi: vanità e ipocrisia.
LUNGHE VESTI (38)
La vanità, si manifesta nello sfoggio dell’ampio mantello del rabbi, il tallit, nella ricerca del saluto o riverenza nei luoghi frequentati dalla gente e nell’accaparrarsi i seggi più onorevoli e ambiti nei conviti e nelle assemblee liturgiche.
DIVORANO (40)
L’ipocrisia gli scribi la rivelano nell’ostentare una grande devozione, prolungando la preghiera davanti a tutti, mentre di fatto divorano i beni delle vedove.
DELLE VEDOVE (40)
Le vedove erano difese giuridicamente e religiosamente in Israele, come in nessun altro popolo dell’antichità, anche se le leggi non sempre erano rispettate e il dovere di assistenza era spesso ribadito (es. Is 1, 17.23 e 10, 1). Gesù ritiene particolarmente vergognoso il fatto che gli scribi approfittino dello stato di disagio delle vedove, approfittando della loro ospitalità e generosità e ancor più che lo facciano sotto la copertura religiosa.
UNA CONDANNA PIU’ GRAVE (40)
Con lo stile dei profeti (vedi anche Is 1, 17), Gesù lancia contro gli scribi il suo terribile giudizio di condanna.
DI FRONTE AL TEMPIO (41)
Il versetto si apre con una rapida annotazione geografica. Il racconto si svolge nell’atrio delle donne del tempio di Gerusalemme, dove erano erette 13 trombe o cassette a forma di imbuto, per le offerte obbligatorie o libere (vedi anche Gv 8, 20), suddivise secondo le intenzioni degli offerenti. Probabilmente lo scopo e l’entità dell’offerta dovevano essere comunicate al sacerdote incaricato.
GETTAVA MONETE…RICCHE..TANTE (41)
L’osservazione delle “tante” monete gettate crea il contrasto con l’offerta della vedova.
VEDOVA VI GETTO’ DUE SPICCIOLI (42)
La vedova vi getta due lepton. Il lepton è la più piccola moneta e Marco precisa che corrisponde ad un “quadrante” romano, che è un sessantaquattresinmo di un “denaro”, ed era la paga giornaliera di un operaio. Il nostro testo traduce “lepton” con “spicciolo” e “quadrante” con “quattrino”.
PIU’ DI TUTTI GLI ALTRI (43)
Ai discepoli Gesù fa un’asserzione assoluta e paradossale: la vedova ha dato più degli altri. E ne spiega il motivo: un’offerta non puo’ essere valutata secondo la grandezza, ma in rapporto alle disponibilità di chi la dona. Gli altri hanno dato qualcosa di superfluo, la vedova tutto ciò che le era necessario per vivere.
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
INVESTIRE NELLA BANCA DEL SIGNORE
L`apostolo Paolo grida: “Non abbiamo portato nulla venendo in questo mondo, neanche lo possiamo portar via” (1Tm 6,7) e anche: “Che cosa hai, che tu non abbia ricevuto?” (1Cor 4,7). Perciò, carissimi, non siamo avari del nostro, ma diamo a interesse ciò che ci è stato affidato. Abbiamo ricevuto dei beni, da usare come temporale merce di scambio, non come possesso eterno di cosa privata. Se li riconoscerai come temporaneamente tuoi sulla terra, potrai fartene una ricchezza eterna nei cieli. Se ti ricorderai di quei tali che ricevettero dei talenti dal Signore e che cosa il padre di famiglia diede loro in compenso, capirai quanto sia meglio mettere il danaro alla banca del Signore, perché si moltiplichi; capirai con quanta sterilità di fede, con quanta perdita per il servo inutile, fu conservato quel talento, che fruttò solo un aumento di pena a chi l`aveva nascosto. Sbrigati, dunque, per meritar di sentir le parole: “Via, servo buono, entra nel gaudio del tuo signore” (Mt 25,21), piuttosto che le altre: “Servo malvagio e pigro ti giudico dalle tue parole” (Lc 19,21); il servo pigro fu gettato in carcere, il suo talento fu dato a chi era già ricco per la moltiplicazione dei suoi crediti, e il Signore sentenziò: “A colui che ha sarà dato, a chi non ha, sarà tolto anche ciò che ha” (Mt 25,29). Ricordiamoci anche di quella vedova che, trascurando se stessa per amor dei poveri, testimone lo stesso Giudice, si privò di tutto il suo cibo: Gli altri hanno dato parte di ciò che loro sovrabbondava, essa, invece piú bisognosa forse anche di molti poveri, che aveva solo due spiccioli, ma nell`animo era piú ricca di tutti i ricchi, interessata solo dell`eterna mercede, cupida del tesoro celeste, rinunciò a tutto ciò che proviene dalla terra e si riconverte in terra. Diede ciò che aveva, per poter possedere ciò che non aveva ancora visto. Diede cose corruttibili, per procurarsi le incorruttibili. Quella poveretta non disprezzò il criterio di Dio circa la ricompensa futura, e il giudice finale non trascurò il suo gesto e preannunziò la sua sentenza; predicò nel vangelo colei che avrebbe coronato il giorno del giudizio. Diamo, dunque, a interesse al Signore i suoi stessi doni non abbiamo, infatti, nulla che non sia suo dono, noi che siamo noi stessi, un suo dono. E noi, in verità, che cosa possiamo ritenere nostro, se per un piú grande e speciale debito non siamo nostri? e non solo perché creati da Dio, ma anche perché da lui ricomprati. Rallegriamoci anche, perché siamo stati ricomprati a caro prezzo, col sangue dello stesso Signore; col quale prezzo non siamo piú vili e venali. Riportiamo, dunque, i suoi doni al Signore; diamo a colui che riceve attraverso il povero; diamo, dico, con gioia e riceveremo da lui esultanti. Piace a lui, infatti, che gli facciamo forza, spezzando con le opere buone le sbarre del cielo. Il Signor nostro, il solo buono, come il solo Dio, non vuol ricevere per un calcolo di avarizia, ma per generosità di affetto. Che cosa manca, infatti, a colui che dà tutte le cose? O che cosa non possiede, colui che è padrone dei possidenti? Tutti i ricchi sono nelle sue mani, ma la sua immensa giustizia e bontà vuole che gli si faccia dono dei suoi stessi doni, per avere ancora un titolo di misericordia verso di te, perché è buono. E davvero ti prepari lui un merito di cui tu sia degno, perché egli è giusto! (Paolino di Nola, Epist., 34, 21)
VALORE DEL REGNO DI DIO
Avete udito, fratelli carissimi, che Pietro e Andrea non appena furono chiamati, al primo suono del comando, lasciarono le reti e seguirono il Redentore. Non l`avevano ancora visto operare alcun prodigio; ancora non l`avevano ascoltato in tema di premio eterno; e nondimeno, al primo cenno del Signore, dimenticarono tutto quello che poteva costituire il loro possesso… Mi sembra, peraltro, di sentire qualcuno che dice tra sé: Pietro e Andrea erano pescatori, non possedevano nulla o quasi. Cosa mai lasciarono al comando del Signore? Ma, in questo caso, fratelli carissimi, dobbiamo guardare piú all`affetto che al valore del censo. Certamente, molto lascia chi non trattiene nulla per sé; molto lascia chi abbandona completamente tutto quel che possiede. Noi, invece, siamo aggrappati gelosamente a quanto possediamo e desideriamo avidamente quel che non abbiamo. Pietro e Andrea lasciarono davvero molto, dal momento che rinunciarono persino al desiderio di possedere. Sí, questi apostoli lasciarono molto, rinunciando non solo alle cose ma altresí al desiderio di esse. Tanto lasciarono, ponendosi al seguito di Cristo, quanto avrebbero potuto desiderare, se non avessero intrapreso la sua sequela. Nessuno dica, quindi, allorché vede che altri han lasciato tutto: imiterei volentieri questi spregiatori del mondo, però non ho nulla da lasciare. Infatti, fratelli, anche voi rinunciate a molto, se rinunciate ai desideri terreni. Lasciando il poco che possedete, è quanto basta per far contento il Signore: egli guarda il vostro cuore, non il vostro patrimonio. Non guarda quanto gli offriamo in sacrificio, bensí l`amore con cui glielo offriamo. Se guardiamo al patrimonio terreno, dobbiamo dire che quei due santi mercanti acquistarono la vita eterna degli angeli, in cambio delle reti e della barca. Il Regno di Dio, invero, non ha prezzo; però esso vale tutto ciò che uno possiede. Nel caso di Zaccheo, esso valse la metà dei suoi beni, perché l`altra metà egli se la riservò per restituire il quadruplo a coloro che aveva defraudato (cf. Lc 19,8); nel caso di Pietro e Andrea, valse le reti e la barca (cf. Mt 4,20); per la vedova, valse solo due spiccioli (cf. Lc 21,2); per un altro, sarà valso magari un semplice bicchiere d`acqua fresca (cf. Mt 10,42). Quindi, il Regno di Dio, come ho già detto, vale tutto quello che uno possiede. Riflettete, dunque, fratelli, sul valore del regno dei cieli: niente vi è di meno costoso nell`acquisto e niente di piú prezioso nel possesso. Supponiamo però di non avere neppure un bicchiere d`acqua fresca da dare al povero; ebbene, anche in questo caso ci soccorre la parola divina. Alla nascita del Redentore, si mostrarono i cittadini del cielo, cantando: “Gloria a Dio nell`alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buon volere” (Lc 2,14). Davanti a Dio, la nostra mano non è sprovvista di doni, se l`arca del cuore è piena di buona volontà. Ecco perché il Salmista dice: “In me sono, o Dio, i voti che ti rendo, a te si levano le mie lodi” (Sal 55,12). E` come se dicesse: «Anche se non trovo fuori di me doni da offrire, nondimeno trovo nel mio intimo qualcosa da porre sull`altare della tua lode, poiché tu non ti pasci del nostro dono, ma ti lasci placare dall`offerta del cuore. (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 5, 1-3)
POSTO PER TUTTI NELLE OPERE DI PIETA
Le opere della pietà sono vastissime e la loro stessa varietà dà ai veri cristiani la possibilità di svolgere per intero il proprio ruolo nella distribuzione delle elemosine, siano essi ricchi e nell`abbondanza, o, al contrario, poveri e mediocri, cosicché coloro che sono ineguali nelle possibilità di largizione, siano almeno simili nell`affetto del cuore. Infatti, quando, sotto gli occhi del Signore, molti buttavano nel gazofilacio del tempio grosse cifre prese dalla loro opulenza, una vedova vi introdusse due monetine e meritò di essere onorata dalla testimonianza di Gesú Cristo per quel dono minimo, preferito all`offerta di tutti gli altri: infatti, davanti ai doni magnifici di coloro ai quali restava ancora molto, il suo, per misero che fosse, costituiva tutto il suo avere (cf. Lc 21,1-4).Pertanto, se qualcuno è ridotto ad una povertà tale da non poter neppure elargire due spiccioli ad un indigente trova nei precetti del Signore di che adempiere il dovere della benevolenza. Infatti, neppure chi avrà donato ad un povero un semplice bicchiere d`acqua fresca rimarrà senza ricompensa per il suo gesto (cf. Mt 10,42): oh, quali scorciatoie non ha preparato il Signore ai suoi servi per far loro conquistare il suo Regno, se persino il dono di un bicchiere d`acqua, d`uso gratuito e comune, non deve restare senza ricompensa!E, perché nessuna difficoltà potesse frapporvi ostacoli, è proprio un po` d`acqua fresca che viene proposto come esempio di misericordia, per timore che qualcuno cui manca la legna per fare il fuoco e farla scaldare, potesse pensare di essere privato della ricompensa. Il Signore, peraltro e non senza ragione, avvertí che tale bicchiere d`acqua doveva essere dato in suo nome, perché è la fede che rende preziose cose in sé stesse vili, e che le offerte degli infedeli, anche se fatte senza badare a spese, restano nondimeno vuote di ogni giustificazione. (Leone Magno, Sermo, 31, 2)
DIO NON PESA LA QUANTITA DEL CUORE
Grande è quel che Egli trarrà dal poco disponibile, poiché sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, bensí il peso dei cuori. La vedova del Vangelo depositò nel tesoro del tempio due spiccioli e superò i doni di tutti i ricchi (cf. Mt 12,41-44). Nessun gesto di bontà è privo di senso davanti a Dio, nessuna misericordia resta senza frutto. Diverse sono senza dubbio le possibilità da lui date agli uomini, ma non differenti i sentimenti che egli reclama da loro. Valutino tutti con diligenza l`entità delle proprie risorse e coloro che hanno ricevuto di piú diano di piú. (Leone Magno, Sermo de jejunio dec. mens., 90, 3)
DARE
Sul verbo “dare si può costruire una retorica infinita”. Ma occorre fare uno sforzo critico di discernimento. Infatti anche il “dare”, come ogni atteggiamento dell’uomo, è soggetto ad ambiguità. Una certa corrente di cultura moderna è persuasa che tutto ciò che l’uomo fa sia bene, o addirittura arriva a pensare che tutto ciò che esiste sia fatto dall’uomo. Il “dare” diventa allora segno di espressione di potere, di ricchezza, di superiorità. Questo pregiudizio arrogante fa del “dare” un modo di lodare ed esaltare se stessi. Persino il rapporto con Dio potrebbe essere inquinato da una falsa concezione del “dare”, cioè dall’idea che noi diamo qualcosa a Dio. In questo caso, contrariamente alla posizione succitata, l’uomo è pensato come “suddito” e Dio come il “padrone”, al quale deve essere dato il tributo da lui richiesto. Alla radice sta la concezione dei rapporti umani e della relazione uomo-Dio basati sull’idea di scambio. Quanto è difficile per noi pensare alla gratuità; ancor più arduo è viverla. Ebbene il “dare” non ambiguo è precisamente gratuità amante. Esso diviene comprensibile soltanto a partire da una corretta visione di Dio, che è la gratuità amante per eccellenza. (Antonio Bonora)
IL DONO DELLE VEDOVE
Il gesto furtivo con cui la vedova del Vangelo getta i suoi due spiccioli nel tesoro del tempio, è preghiera e amore. L’obolo è insignificante, ma il dono è totale. Ed è tanto più grande quanto meno si ostenta, cerca anzi di nascondersi. Gesù ha ammirato quel gesto e lo ha lodato. Egli non misura gli atti con il nostro metro. La nostra valutazione sui ferma alle apparenze; la sua arriva al cuore. Egli non misura in cifre ciò che doniamo, lo misura in amore, lo valuta per valori interiori. La vedova della prima lettura di questa domenica è sulla stessa linea. Un pane non è gran cosa, ma è molto quando ad essa è legata la propria sopravvivenza. In tal caso e tutt’uno con la propria vita e donandolo si dà se stessi. Dà molto chi dà tutto, anche se quel tutto è poca cosa. Soprattutto dà molto chi ama molto.
E questo “dare” è in fondo la legge più profonda del cuore. Un amore in cui prevale la ricerca è in fondo una forma larvata di egoismo. L’amore quanto più è profondo, tanto più tende a tradursi in dono. Quello che Dio fa con noi è significativo: quando invita alla mensa e offre un pane, mette tutto se stesso, tutte le ricchezze della sua vita intima. E dove la miseria è più grande, là il dono sovrabbonda. Il salmo 145, con cui rispondiamo alla parola, lo esprime bene. Gli affamati, gli oppressi, i prigionieri, di ciechi… sono i primi destinatari. La carità cristiana si modella su questo stile di Dio: e allora la vita acquista una fecondità meravigliosa. Quella giara che non viene mai meno è simbolo di una pienezza interiore, che nel donarsi, mentre arricchisce anche se stessa, si arricchisce di gioia, perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, di grazia, perché Dio “ama chi dà con gioia” e amandolo lo ricolma di sé. (Mariano Magrassi)
DARE DISINTERESSATAMENTE
Gesù dice una volta: quando fai l’elemosina non suonare la tromba dinanzi a te, come fanno gli scribi e i farisei che vogliono farsi vedere. Anzi, vuoi un consiglio? Quando fai l’elemosina, neppure la tua sinistra sappia ciò che sta facendo la tua destra, perché così il Padre che vede nel silenzio ti potrà ricompensare. E quando preghi, ritirati, chiudi la porta delle tua celle dietro di te. Gesù con queste parole non intendeva certo proibire la preghiera pubblica e liturgica, ma voleva raccomandare la purezza dell’intenzione, pregare per Dio e non per crescere nella stima degli uomini. Se quando facciamo il bene in qualche parte del nostro cuore, noi pensiamo a cosa ne diranno gli altri, all’ammirazione che riusciremo a suscitare, noi mettiamo come un verme nelle nostre azioni che le roderà tutte. Quante nostre azioni sono così: fatte per noi stessi. Dio ci dirà: se era questo che cercavate, apparire giusti davanti agli uomini, avere gloria gli uni presso gli altri, lo avete avuto; non potete aspettarvi altro da me: avete avuto la vostra mercede. (R. Cantalamessa)
I VERI PROTAGONISTI
Ormai è un’impressione diffusa: la vita è diventata uno spettacolo. Si potrebbe anche usare la parola teatro. E’ un aspetto del nostro tempo che il racconto di Marco ci permette di richiamare e dinterpretare. Ai tempi di Gesù non c’erano le luci violente della ribalta, ma non mancavano i personaggi che si muovevano come se recitassero la loro parte sulla scena davanti ad una grande folla, per strappare simpatia e ammirazione. Sono i ricchi che nel tesoro del tempio gettano con ostentazione molte monete, sono gli scribi che “amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi posti nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Ma Gesù non ama la regia degli uomini in questa distribuzione dei primi posti e dei vari ruoli della scena. Chiama a sé i discepoli e fa osservare “Vedete quella vedova? E’ lei la vera protagonista. Alla scuola di Gesù si rimane sempre sorpresi e stupiti, perché c’è sempre da imparare. Impariamo che i personaggi che contano non sono quelli celebrati dalla televisione e dai giornali. Ci sono altre persone che non compaiono mai e dei quali i media non si occuperanno mai. Sono persone dalla vita oscura, fatta solo di fedeltà, di fiducia, di accettazione umile e generosa, di giornate a volte cariche di immensa fatica. Eppure sono loro che tengono insieme la società, perché, come si legge nella Bibbia, è la pazienza dei poveri che regge l’universo. Sono loro i protagonisti. (Luigi Pozzuoli)
INTERROGATIVI
Confrontiamoci col modo di giudicare di Gesù? Giudichiamo come lui, che vede il cuore e non si ferma a ciò che appare o ci lasciamo impressionare dalle apparenze oggi molto curate? Nelle nostre opere di assistenza o di apostolato le nostre intenzioni sono assolutamente pure? Non cerchiamo talora più o meno coscientemente di essere notati o lodati? Come giudico la mia fede e la mia generosità confrontandole con la fede e la generosità della vedova proposta alla nostra riflessione dalla liturgia odierna.?
PREGHIERA (pregare la parola)
•O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio degli stranieri, giustizia degli oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi e tutti imparino a donare sull’esempio di colui che ha donato se stesso, Gesù Cristo nostro Signore. (Colletta 33 pa B)
•Ti lodiamo, Padre, perché Cristo, tuo Figlio, ci mostra un esempio vivo di religione autentica nella vedova povera e generosa, che diede tutto ciò che aveva. La nostra matematica, Signore, non è la tua, mentre noi sommiamo quantità, tu moltiplichi qualità. (B. Caballero)
•Dacci, Signore, una fede operante e dinamica che ci porti all’altruismo e al dono di noi stessi. Concedici la generosità e l’umiltà dei poveri, per non rendere culto al dio danaro e donarci completamente a te e ai fratelli. (Basilio Caballero)
•Signore, ti abbiamo sentito glorificare la generosità della povera vedova. Donaci il coraggio di tutto perdere per tutto guadagnare, secondo la tua stessa parola. Così, distaccati dai beni terreni che deludono e passano, noi saremo ricchi dell’amore del Padre, che regna con te e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. (Ch. Berthes)
•Signore, fa che seguiamo il tuo esempio. Tu, “come agnello muto” ti sei offerto al tesoro del “santuario non fatto da mani di uomo” nell’apparente silenzio di un fallimento. Tu, sei stato spogliato e rinnegato, sei stato povero, come la vedova che ci grida in faccia la nostra ipocrisia.
•Nella nostra povertà, Signore, gridiamo a te all’estremo delle nostre forze. Tu ci hai guariti, ci hai sollevato dal fango della nostra condizione, donaci un cuore grande perché siamo capaci di donare come la vedova del Vangelo.
•Vieni a salvarci, Signore, che “rendi giustizia agli oppressi, ridoni la vista ai ciechi, ci rialzi” da ogni caduta. Vieni, Signore Gesù, vieni e sconvolgi le nostre vie empie, sostienici e guidaci nella via della vita. (Suore Clarisse)
•Nella nostra povertà, Signore, gridiamo a te all’estremo delle nostre forze. Tu ci hai guariti, ci hai sollevato dal fango della nostra condizione, donaci un cuore grande perché siamo capaci di donare come la vedova del Vangelo. (Suore Clarisse)
•“Venite, benedetti del Padre mio”. Si, veniamo a te, poveri con le nostre mani vuote, veniamo e con te continueremo a percorrere la via dell’amore, forti della tua stessa condizione, immolati sulla tua stessa croce, inchiodati da quei chiodi d’amore, trafitti dalla lancia dello scherno. (Suore Clarisse)
•Tu, Luce, squarcia le nostre tenebre: tu Verità. Scopri la nostra menzogna; tu, Amore, tendi la mano ad ogni debolezza e frantuma le nostre resistenze presuntuose. (Suore Clarisse)
•Signore, che scruti i cuori e non guardi le vesti ostentate, vedi “i due spiccioli” della nostra debolezza; sono pochi, ma sono “tutto ciò che noi abbiamo per vivere. (Suore Clarisse)
•Beatissima e dolcissima Vergine Maria, Madre di Dio, tutta piena di bontà, figlia del re dei cieli, Signora degli angeli e Madre dei credenti: oggi e per tutti i giorni della mia vita ripongo nelle tue mani pietose il mio corpo e la mia anima, e tutti i miei atti: pensieri, volontà, parole e opere, tutta la mia vita e la mia morte, affinché, per tua intercessione siano ordinati al bene, secondo la volontà del tuo diletto Figlio e Signore nostro. (S. Tommaso d’Aquino)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Cerchiamo di avere sempre abbandono incondizionata alla volontà di Dio e prontezza al donare.