Matteo 25,14-30: 14 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi parti. 16 Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Cosi anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26 Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
(Bibbia Cei: versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Matteo 25,14-30
Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l`interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell`abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
(Bibbia Cei: versione 1971)
Esegesi
Matteo ha inserito la parabola dei talenti nell’ultima grande composizione redazionale del suo vangelo, il “discorso escatologico” (capitoli 24-25). Assieme ai discepoli la Chiesa chiede al Signore: “Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?” (24, 3). La domanda sul “quando” rimane senza risposta. Anziché stare con lo sguardo puntato sull’ultimo giorno è meglio utilizzare il presente: “ Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora” (25, 13) Questa esortazione percorre come un filo tutto il discorso escatologico, (cf 24, 37; 25, 13). Ciò che conta è rispondere al comando dell’ora. Ce lo dicono le parabole dei talenti (25, 14-30) e del giudizio del mondo (25, 31-46). Esse concretizzano l’esortazione alla vigilanza.
La parabola dei talenti, di cui Luca dà una versione alquanto differenziata nella parabola delle mine (Lc 19, 12-27) è l’ultima della trilogia delle parabole escatologiche, e viene dopo quelle del servo fedele (24, 45-49) e delle 10 fanciulle (25, 1-13). Questa parabola ribadisce in vari punti l’insegnamento delle due precedenti: i credenti e in modo particolare quelli che hanno compiti di responsabilità nella comunità cristiana, hanno ricevuto con la prima venuta del Cristo dei beni (i misteri del regno: cf 13, 11) che devono essere trafficati durante l’apparente assenza del Signore, in modo che al suo ritorno, essi fruttifichino per la vita eterna (46).
UN UOMO PARTENDO (14)
Un signore vuol andare all’estero e, prima di partire affida ai suoi servi il suo notevole patrimonio, Suddivide il denaro in proporzione alle capacità dei servi, (secondo la sua capacità) senza indicare loro alcun compito specifico. E’ chiaro però che, assieme al denaro, si assumono anche la responsabilità di farlo fruttare (Vedi Lc 19, 13). Fuori di metafora l’uomo è Cristo, che, in procinto di chiudere la sua vicenda terrena, lascia alla sua Chiesa (apostoli, fedeli) i suoi beni per poi, al suo ritorno (che non è solo quello della parusia, ma anche quello del rendiconto individuale di ciascun servo alla fine della vita) riprendere insieme al suo i frutti prodotti dall’operosità di ciascuno.
A UNO DIEDE (15)
Il talento in origine era una misura di peso, corrispondente a circa 40 chili di oro, di argento o di qualsiasi altro metallo prezioso. In seguito indicò una somma d’oro o d’argento, che non è facile oggi quantificare. Probabilmente un talento d’argento corrispondeva a circa 5-9 mila lire sterline e un talento d’oro a circa 140-150 mila lire sterline. Anche un solo talento era quindi una somma molto grande. Il bene affidato è lo stimolo della grazia divina, il frutto atteso è la maturazione dell’individuo sia per il bene della comunità, come il conseguimento della vita eterna. La parola “talento” è servita per significare le capacità naturali, che come i talenti sono tutte un dono, e si dire “bisogna far fruttificare i propri talenti” ha assunto per ognuno il significato di sviluppare i doni avuti.
COLUI CHE AVEVA RICEVUTO (16)
Il servo che riceve più talenti si mette subito all’opera e raddoppia la somma affidatagli. Il secondo servo fa lo stesso. Il terzo si comporta come usavano fare ai suoi tempi coloro che volevano proteggere il proprio denaro dai ladri: sotterra il talento; egli pensa di essere così al sicuro.
DOPO MOLTO TEMPO (19)
Il versetto sottolinea che il padrone ritorna dopo molto tempo, e sottintende che i tre hanno avuto molte occasioni per operare. Il molto tempo, se inteso in senso escatologico va dall’Ascensione di Gesù alla parusia, se inteso in senso individuale, che è quello prevalente della parabola, corrisponde al corso della vita di ciascun uomo.
REGOLARE I CONTI (20)
Alla resa dei conti il primo e il secondo hanno presentato un utile del cento per cento. Ciò procura loro una nuova distinzione, ottengono incarichi più importanti (su molto). Dal momento che il “”poco” di cinque o due talenti non era poi tanto poco, la valutazione qui è fatta sul piano religioso: il premio divino è sproporzionatamente superiore all’opera prestata dall’uomo (cf Rm 8, 18) “ Gioia del tuo padrone “ indica la beatitudine celeste.
RICEVUTO UN SOLO TALENTO (24)
Le cose vanno diversamente per il terzo servo, che la parabola vuole mettere particolarmente in luce. Egli rappresenta coloro che si pongono in modo falso nei confronti del Signore. Il servo ha considerato un rischio far fruttificare il talento, (andai a nascondere) ha agito per paura si sente di essere nel giusto, vuole sbarazzarsi del talento (ecco qui il tuo), e passa all’attacco, accusando il padrone di essere severo e ingiusto (sei un uomo duro).
SERVO MALVAGIO E INFINGARDO (26)
Il servo viene colpito con le sue stesse mani. Il padrone risponde dicendo: supposto che tu abbia ragione e che sia vera la tua opinione negativa su di me, avresti dovuto avere un maggior senso di responsabilità, almeno depositando in banca il talento. Il servo è detto anche “malvagio”, perché non è cattivo solo chi fa il male, ma anche chi non fa il bene.
TOGLIETELO… E DATELO (28)
Questo particolare serve a giustificare meglio il proverbio popolare seguente, che Gesù ha già utilizzato in 13,12 riferendosi al misterioso piano che Dio svela a chi ha le disposizioni di docilità e generosità, che sono anche esse dono di Dio, e nasconde a chi, come i Farisei ne è sprovvisto. Qui il proverbio è applicato a chi ha messo o non ha messo a frutto i talenti.
NELLE TENEBRE (29)
Come per le vergini stolte (v 13) la condanna è l’esclusione dalle gioie del banchetto di Dio, che non può che provocare la reazione di rimorso e disperazione espressa con la nota formula evangelica “pianto e stridore di denti”.
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
IDENTICHE LODI
Ambedue i servi, e quello che di cinque talenti ne ha fatto dieci e quello che di due ne ha fatto quattro, ricevono identiche lodi dal padrone di casa. E dobbiamo rilevare che tutto quanto possediamo in questa vita, anche se può sembrare grande e abbondante, è sempre poco e piccolo a confronto dei beni futuri. «Entra – dice il padrone – nella gioia del tuo Signore»: cioè ricevi quel che occhio mai vide, né orecchio mai udí, né mai cuore d`uomo ha potuto gustare (cf.1Cor 2,9). Che cosa mai di piú grande può essere donato al servo fedele, se non di vivere insieme col proprio Signore e contemplare la gioia di lui? (Girolamo, In Matth. IV, 22, 14-30)
IL SERVO MALVAGIO
“Presentatosi infine quello che aveva ricevuto un solo talento, disse: «Signore, so che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco, prendi quello che ti appartiene» (Mt 25,24-25). Quanto sta scritto nel salmo: A cercare scuse per i peccati (cf. Sal 141,4), si applica anche a questo servo, il quale alla pigrizia e negligenza, ha aggiunto anche la colpa della superbia. Egli che non avrebbe dovuto fare altro che confessare la sua infingardaggine e supplicare il padrone di casa, al contrario lo calunnia, e sostiene di aver agito con prudenza non avendo cercato alcun guadagno per timore di perdere il capitale. “Il suo padrone gli rispose: «Servo malvagio e infingardo, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso; potevi dunque mettere il mio denaro in mano ai banchieri, e al ritorno io avrei ritirato il mio con l`interesse. Toglietegli perciò il talento e datelo a colui che ne ha dieci» (Mt 25,26-28). Quanto credeva di aver detto in sua difesa, si muta invece in condanna. E il servo è chiamato malvagio, perché ha calunniato il padrone; è detto pigro, perché non ha voluto raddoppiare il talento: perciò è condannato prima come superbo e poi come negligente. (Girolamo, In Matth. IV, 22, 14-30)
A CHI HA, SARA’ DATO
“Poiché a chi ha, sarà dato e sarà nell`abbondanza, ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere” (Mt 25,29). Molti, pur essendo per natura sapienti e avendo un ingegno acuto, se però sono stati negligenti e con la pigrizia hanno corrotto la loro naturale ricchezza, a confronto di chi invece è un poco piú tardo, ma con il lavoro e l`industria ha compensato i minori doni che ha ricevuto, perderanno i loro beni di natura e vedranno che il premio loro promesso sarà dato agli altri. Possiamo capire queste parole anche cosí: chi ha fede ed è animato da buona volontà nel Signore, riceverà dal giusto Giudice, anche se per la sua fragilità umana avrà accumulato minor numero di opere buone. Chi invece non avrà avuto fede, perderà anche le altre virtù che credeva di possedere per natura. Efficacemente dice che a costui «sarà tolto anche quello che crede di avere». Infatti, anche tutto ciò che non appartiene alla fede in Cristo, non deve essere attribuito a chi male ne ha usato, ma a colui che ha dato anche al cattivo servo i beni naturali. “E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti” (Mt 25,30). Il Signore è la luce; chi è gettato fuori, lontano da lui, manca della vera luce. (Girolamo, In Matth. IV, 22, 14-30)
LA PARABOLA
Il significato della parabola è trasparente. L’uomo che dona i talenti rappresenta Dio, fonte di ogni cosa che esiste. I servi sono tutti gli uomini, anche noi, i talenti rappresentano i doni che il Signore in maniera diversa elargisce alle sue creature (i doni della creazione e i doni della redenzione). La lunga assenza raffigura l’apparente assenza di Dio; è presentissimo, noi in lui viviamo, ci muoviamo e siamo, ma sembra che tutto vada avanti come se lui non ci fosse. Il ritorno e il rendiconto indicano con semplicità e chiarezza come si concluderà la nostra vicenda umana. La parabola mette in evidenza particolare il servo che ha avuto paura, ha sepolto il suo talento per riconsegnarlo intatto, ma non lo ha fatto fruttare. Formalmente era a posto, ma se fosse stato affezionato al suo padrone avrebbe fatto di tutto per essere utile e per renderlo contento. Il Signore si riferisce ai farisei: formalmente a posto, adempiono i precetti della legge, ma non comprendono il dinamismo dell’amore. Questo rilievo ci fa riflettere sui peccati di omissione. (Giovanni Nervo)
INVITO A RIFLESSIONE
La parabola dei talenti ci invita a riflettere sulla “responsabilità” per i molteplici “doni” ricevuti e per le funzioni” che ognuno è chiamato a svolgere. E’ a Dio che dobbiamo rendere conto dei doni, che egli ci ha dato perché li sapessimo utilizzare per il bene nostro e altrui. Più che sulle nostre “colpe” vorrei dire che Dio ci giudicherà sullo “spreco” che avremo fatto dei suoi “talenti”, La “colpa” più grande è sempre quella di far rimanere infruttiferi i suoi doni di amore e di grazia. Anche quando è “commissione”, il peccato è sempre e prima di tutto, un’”omissione”, cioè l’aver mancato ad un appuntamento di grazia. (Settimio Cipriani)
RISPOSTA ATTIVA
Non importa sapere che cosa sono i talenti. Si tratta delle doti naturali, della chiamata alla fede, dei compiti ministeriali nella comunità credente? Quello che interessa è la risposata attiva dei singoli. E’ da notare che non esiste una vera proporzionalità tra il rendimento dei primi due servi e la loro ricompensa. Essi ricevono lo stesso trattamento. Come i “talenti” ricevuti, così anche il premio da parte del signore resta nell’ambito della gratuità. Ma si tratta di una gratuità che impegna perché fonda una relazione di fiducia dei credenti col loro Signore (R Fabbris).
IMPEGNO ATTIVO
Non esiste nessuna scusa dei credenti di fronte alla responsabilità di agire con decisione e coraggio. Alla fine essi saranno accolti nella comunione con il loro Signore o condannati alla rovina, in base alla loro risposta. Quello che è determinante è l’impegno attivo. E questo dipende dalla relazione di fiducia con il Signore. Infatti viene condannato il servo fannullone che è come paralizzato dalla sua paura. Quello che manca nel suo caso è la relazione di fiducia che mette in moto la responsabilità creativa. (A Catella)
I VARI TALENTI
Tutti abbiamo ricevuto il talento della vita ed essa va amministrata nel vivere terreno in vista del destino ultimo. L’uomo redento è chiamato a coltivare, che è poi un amministrare, la propria intelligenza, la volontà il sentimento, il proprio corpo e la propria sensibilità. Tutto questo deve essere amministrato vivendo in relazione con gli altri e in modo particolare nella relazione tra uomo e donna. Va amministrata anche la terra, che aspetta la redenzione dei figli di Dio (Cf Rm 8, 23). Devono essere amministrati i beni e la vita politica, la cultura e l’azione. Un’amministrazione fondata sulla fede e su quanto alla fede consegue: la fede accompagna l’uomo nell’amministrazione della sua natura e lo apre ad amministrarsi quale figlio di Dio, elevato all’ordine soprannaturale. Noi siamo responsabili di tutti i doni ricevuti da Dio, nella luce della parabola dei talenti. E quindi dobbiamo anche amministrare: la famiglia, la società politica, l’economia, la partecipazione all’amministrazione del mondo del lavoro, dei beni, della nostra partecipazione ecclesiale. Dobbiamo far fruttare e mai nascondere, dando vita ad un privato “egoistico” e utilitaristico. Se noi ci impegniamo ad amministrare, Dio affida sempre di più alla nostra amministrazione. (Guido Aceti)
IL TALENTO DELLA FEDE
Il talento della fede. “La fede fonda la giustizia dei figli di Dio e radica la loro santità”. La fede fonda la mia giustizia di figlio di Dio in quanto con essa io lo conosco nella sua verità e così sono chiamato ad edificarmi sul fondamento della fede per corrispondere sempre più a lui che è vita, luce, conoscenza, amore. La fede radica la mia santità, cioè non solo è il mio fondamento, perché su di essa mi costruisca, ma mi sostenta, mi nutre cosi che io possa diventare parola vivente di Dio. Se in quanto giusto vengo a corrispondere ai miei fratelli, in quanto santo sono unico e irrepetibile. La conseguenza è che la vita cristiana è dialettica di santità e giustizia. (Guido Aceti)
IL TALENTO DELL’AMORE
Occorre stimolare la comunità cristiana a uscire dagli schemi suggeriti da un’opinione pubblica tutta incentrata sull’interesse personale, per chiedersi se è legittimo cristianamente (ma anche umanamente) cercare il profitto e la carriera a tutti i costi, fare “lavoro nero”, (cioè non tutelato o con minore retribuzione) in più del normale, o permettere che altri (ad esempio il portatore di handicap, l’extracomunitario) l’abbiano come unico lavoro, avere una terza o una quarta casa abitualmente vuote, rifiutare casa o lavoro a chi viene da regioni non gradite…. Il primo, il vero talento è l’amore, partecipazione di Dio che è amore: tutti gli altri vanno “trafficati” ma in subordine e al servizio di quello. (Luigi Bettazzi)
DONI DI DIO
E’ necessario tener conto di altri insegnamenti della parabola. I talenti non sono dei servi, ma del padrone. I servi devono ricordare sempre che quello che hanno è dono gratuito del Signore, e non hanno alcun merito. Ciascuno deve rendere secondo quanto ha ricevuto. Chi ha ricevuto di più non lo ha ricevuto per il suo prestigio, il suo arricchimento, il predominio su chi ha ricevuto di meno, ma perché serva al bene di tutti, perché Dio, padrone dei talenti, è Padre di tutti. Chi ha ricevuto di meno ha la stessa dignità di chi ha ricevuto di più. (Giovanni Nervo)
IL TALENTO DEL TEMPO
Un frammento del tempo è un pezzo della nostra vita, perché essa si svolge nel tempo. E’ dunque carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. In questa nostra epoca aumenta il “ tempo libero”, offrendo nuove possibilità, ma ponendo anche tanti problemi. E spesso il tempo “lo si fa passare” o “lo si ammazza” o lo si usa male o lo si usa per fare il male. Non si pensa che è uno spazio di responsabilità, e che, al temine, Qualcuno ce ne chiederà conto. Il tempo è dato anzitutto per la conversione. E’ lo spazio in cui mi costruisco un destino eterno. Dio me lo concede nella misura giusta per realizzare il suo prezioso progetto. Se lo spreco, il progetto rimarrà monco. Dice S. Francesco di Sales: “ Ogni istante del tempo viene a te da Dio con un dovere da compiere e una grazia per compierlo bene, e ritorna a Dio per essere per sempre ciò che tu ne hai fatto”. Quanta responsabilità! E non solo verso di me, ma pure verso gli altri. Se devo essere un “uomo per gli altri”, la mia vita è per gli altri, e il mio tempo pure. Va aggiunto che la porzione più importante del tempo è l’oggi. Ogni giorno è “l’oggi” della salvezza che Dio mi offre, e della risposta che Egli si attende da me. Ieri non esiste più, domani non so se l’avrò. L’oggi è nelle mie mani, posso porvi il mio sigillo di fede e di amore, e allora va a collocarsi come una pietra dell’edificio del mio destino eterno: e vi rimarrà per sempre. (M. Magrassi)
I DONI DATI ALLA CHIESA
Cristo con il suo Spirito ha colmato la Chiesa di doni e l’ha dotata di strumenti di grazia. Si pensi al Vangelo, ai Sacramenti, alla struttura gerarchica, ai carismi molteplici. E’ un tesoro da far fruttificare. La Chiesa deve dire ogni giorno a se stessa come Paolo: “Guai a me se non evangelizzo”. I doni di grazia non sono privilegi da godere tranquillamente. Se rallenta il suo slancio missionario, la Chiesa è infedele alla sua missione. se limita le sua cure alla piccola cerchia dei “fedelissimi”, seppellisce il tesoro come il servo infingardo e pusillanime della parabola. Essa è “inviata”. A tutti deve offrire i suoi servizi, applicare i suoi strumenti di grazia, Ha un lievito che deve entrare nella pasta umana per fermentarla, una luce che dal candelabro deve illuminare tutti. Ma nel suo complesso la Chiesa non può diventare infedele, perché lo Spirito stesso ne è garante. Ciascuno di noi invece lo può diventare. Che deve fare il credente nell’attesa del giorno del Signore? Il rovescio di chi ha seppellito il talento, delle vergini stolte che hanno dimentica l’olio, dell’invitato alle nozze che si presenta senza la veste nuziale. Sono immagini di tre diverse parabole tutte orientate al termine ultimo della storia. (M. Magrassi)
LE DOTI
Le doti che sono in me sono un dono di Dio. E come ogni dono sono legate ad una responsabilità. Se il Signore mi ha dato intelligenza, senso pratico, capacità organizzative o altro ancora, aspetta che me ne serva. L’ha date a me, ma per gli altri. E’ un capitale da cui si aspetta i frutti. Per questo occorre, come nel commercio, saper rischiare perché “ chi non rischia non risica”. La semplice difesa non è la tattica della vittoria. Non bisogna scambiare la prudenza con la pusillanimità. Occorre “un’audacia prudente e una prudenza audace”. (Mariano Magrassi)
IL TALENTO DELLA FEDE
Il talento più prezioso è la fede. E se è egoista chi si gode i suoi beni senza pensare agli altri, non lo sarà chi si tiene la fede per sé, senza pensare a diffonderla. Se conservi la fede oziosa nel cuore, non solo non cresce, ma adagio adagio si mortifica fino a spegnersi. Se l’alimenti nell’ascolto della Parola e la eserciti nelle opere di carità continua a crescere, e diventa come una fiamma che dilaga incendiando tutto intorno. (M. Magrassi)
LA FEDE RADICA LA SANTITA
“La fede fonda la giustizia nei figli di Dio e radica la loro santità”.
La fede fonda la mia giustizia di figlio di Dio in quanto con essa io lo conosco nella sua verità e così sono chiamato ad edificarmi sul fondamento della fede per corrispondere sempre di più a lui che è vita, luce, conoscenza e amore. La fede radica la mia santità, cioè non solo è il fondamento perché su di essa mi costruisca, ma mi sostenta, mi nutre così io possa diventare parola vivente di Dio. Se in quanto giusto vengo a corrispondere ai miei fratelli, in quanto santo sono unico e irrepetibile. Nella giustizia e nella santità valorizzo il talento della fede. (S. Cipriani)
RESPONSABILITA’
L’uomo riceve da Dio molteplici doni ed è chiamato a farli fruttificare. La parabola è un invito ad essere responsabili. Il tempo che il Signore sembra prolungare, deve servire ad un maggiore impegno, per una laboriosità più diligente. Proprio perché Egli ritarda, ma nel frattempo ci ha lasciato i suoi “talenti”, dobbiamo trafficarli per accrescere il “capitale” dei suoi doni. Dio ci giudicherà sulla valorizzazione o sullo “spreco” che avremo fatto dei suoi “talenti”. La colpa più grande, in fin dei conti, è sempre quella di far rimanere “infruttiferi” i doni di amore e di grazia. Il peccato è sempre e prima di tutto una omissione, cioè aver “mancato” ad un appuntamento di grazia. (S. Cipriani)
FAR FRUTTARE I TALENTI
Nella vita non basta non commettere peccati: è necessario anche far fruttare i talenti, cioè i doni che il Signore ci ha dato. Ciò significa per gli sposi vivere profondamente nella famiglia il sacramento del matrimonio, cioè la presenza reale e permanente di Gesù nel loro amore e per rivelarsi reciprocamente e rivelare ai figli, nell’esperienza del loro amore vissuto nella dedizione giorno per giorno, la realtà dell’amore di Dio. Per l’insegnante non accontentarsi di svolgere in qualche modo il programma, ma dedicarsi con impegno e amore per aiutare i giovani ad affrontare con fiducia la vita che li attende. Per lo studente significa non accontentarsi della promozione, ma far fruttare pienamente i talenti ricevuti. Ciò vale anche per l’operaio, l’impiegato, il professionista, l’amministratore pubblico, l’uomo politico. Nella comunità cristiana significa non pensare di aver fatto tutto perché si è andato a Messa la domenica e si è segnato l’otto per mille per la Chiesa cattolica, ma rendersi attivi nella comunità e vivere da cristiani ovunque. (G. Nervo)
PREGHIERA (pregare la parola)
•O Padre, che affidi alle mani dell’uomo i beni della creazione e della grazia, fa che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza, rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo ritorno nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare nella gloria del tuo regno. (Colletta 33 perannum A)
•Signore, che elargisci ad ognuno di noi i tuoi talenti fa che li valorizziamo non per “paura”, ma per quel sano “timore che proviene dall’amore per te.
•Signore, che ci hai donato la vita e tutti i beni dell’esistenza fa che ci occupiamo del nostro bene fisico, morale e spirituale con l’attenzione di chi teme Dio.
•Signore, che dai ad ognuno secondo “la sua capacità”, fa che impieghiamo i tuo doni per la nostra crescita spirituale, per il bene dei fratelli e per la realizzazione del regno.
•Ti chiediamo, Signore, sostienici nell’impegno della vita e sii per noi guida e forza per valorizzare i talenti che ci hai elargito. Ti ringraziamo, Signore, per la vita e per tutte le risorse di natura e di grazia che ci hai elargito. Aiutaci a impiegare bene i doni ricevuti.
•Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai di ogni bene. Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion. Possa tu vedere la prosperità per tutti i giorni della tua vita. (Dal Salmo 127)
•Signore, creatore dell’universo, ricevi il nostro umile ringraziamento, Fa che possiamo sempre allietarci dei benefici del tuo amore; dell’abbondanza dei tuoi doni siano nutriti gli affamati e tutti i poveri del mondo si riuniscano nella tua lode.
•O Signore che ci hai affidato la costruzione della terra fa che lo scoraggiamento non ci assalga, e la paura non ci paralizzi ma che ti attendiamo operosamente.
•Signore tu hai infuso in noi, come tante pietre preziose, i doni del tuo cuore. Tu vuoi che noi li valorizziamo. Dacci la forza di metterci all’opera senza temere la fatica, per rinnovare con il tuo aiuto la faccia della terra. (C. Berthes)
•E’ veramente cosa buona e giusta renderti grazie… Tu hai creato il mondo nella varietà dei suoi elementi. ….All’uomo fatto a tua immagine hai affidato le meraviglie dell’universo, perché, fedele interprete dei tuoi disegni, eserciti il dominio su ogni creatura, e nelle tue opere glorifichi te, Creatore e Padre. (Dal V prefazio domeniche del tempo ordinario)
•Abbiamo ricevuto da te, Signore, diversi talenti: la vita, la salute, l’educazione; tutti i doni della fede: il battesimo, i sacramenti, la formazione cristiana… aiutaci, perché siamo impegnati a farli fruttificare per la tua gloria e per il bene dei fratelli. (C. Berthes)
•Ogni giorno, anima mia, canta le lodi di Maria; venera le sue feste e i suoi misteri splendenti. Tutta pura, senza segno di una sola macchia, fa che io ti lodi con cuore mondo e sereno. Fa che io rimanga casto, modesto, dolce, generoso, sobrio, devoto, leale, scaltro e nello stesso tempo semplice, Fa che io sia colto e rafforzato dalla parola di Dio, sempre attento e fedele nel seguire il signore. Vergine santa, guarda quanti pericoli dobbiamo affrontare, sostienici, affinché abbiamo a rimanere saldi e sicuri, ottienici la pace, affinché i tempi cattivi non ci turbino. (Gregoriano: Omni die)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Valorizziamo sempre i nostri doni, le possibilità concrete, e in particolare l’amore e la fede, che Dio ci ha donati.